L'ANNO CHE VERRÀ
Trasmissione del 15 gennaio 2024
"Il Mar Rosso è solitamente una delle rotte commerciali più trafficate al mondo. Circa il 12% del commercio mondiale, quasi il 30% del traffico marittimo di container, e quantità significative di petrolio, passano attraverso il Canale di Suez a nord e lo Stretto di Bab el-Mandeb a sud.
Quest’ultimo congiunge il Mar Rosso al Golfo di Aden, e quindi all’Oceano Indiano e alle ricchezze del continente asiatico.
Ai due lati dello stretto si fronteggiano Gibuti, sulla costa africana, e lo Yemen, all’estremità sudoccidentale della Penisola Arabica. Ed è proprio dallo Yemen, uno dei paesi più poveri del mondo, che il movimento sciita di Ansar Allah, meglio noto come gli “Houthi” (dal nome del fondatore Hussein al-Houthi), ha lanciato la sua sfida a Israele e agli Stati Uniti.
Lo scorso 31 ottobre, il gruppo (considerato un alleato dell’Iran) ha di fatto dichiarato guerra a Israele. Con un comunicato, esso annunciò di aver lanciato (già nei giorni precedenti) missili balistici e da crociera, e un gran numero di droni, contro vari obiettivi israeliani. L’attacco era inteso a supporto dei palestinesi di Gaza costretti a fronteggiare “l’aggressione israelo-americana”, alla luce della “debolezza dei regimi arabi e della collusione di alcuni di essi con il nemico israeliano”.
Questi missili e droni non rappresentavano un pericolo particolarmente serio per Israele. Più grave era la potenziale minaccia che il gruppo di Ansar Allah rappresentava per il traffico commerciale israeliano in questo tratto di mare. La distanza tra le frastagliate coste del Mar Rosso è relativamente esigua, e in corrispondenza dello Stretto di Bab el-Mandeb non supera i 26 km.
Il 19 novembre, emersero alcuni video che mostravano forze Houthi calarsi da un elicottero e requisire la Galaxy Leader, una nave battente bandiera delle Bahamas, ma di proprietà di una compagnia co-fondata da un miliardario israeliano.
A questa incursione seguirono ripetuti attacchi a navi commerciali gestite o possedute da israeliani nel Mar Rosso. A inizio dicembre, il movimento di Ansar Allah estese la propria sfida a tutte le navi provenienti da, o dirette verso Israele, a prescindere dalla loro proprietà.
Il 18 dicembre, gli USA e alcuni loro alleati hanno annunciato l’operazione “Prosperity Guardian”, una forza navale multinazionale a guida americana finalizzata a garantire la sicurezza delle navi commerciali nel Mar Rosso. Gli attacchi degli Houthi sono però proseguiti, e molte compagnie internazionali hanno continuato a tenersi alla larga da questo braccio di mare.
Il 3 gennaio, Washington e Londra hanno lanciato un ultimatum ad Ansar Allah, minacciando di bombardare le postazioni del movimento nello Yemen se gli attacchi alle navi commerciali non fossero cessati.
Per tutta risposta, gli Houthi hanno eseguito per la prima volta un attacco con un drone acquatico, poche ore dopo l’annuncio dell’ultimatum, e il 10 gennaio hanno orchestrato un'altra azione su vasta scala con droni e missili, intercettati dalle navi da guerra americane e britanniche.
Infine, la notte del giorno successivo, Washington e Londra, con il supporto logistico di una manciata di altri paesi, hanno deciso di rompere gli indugi compiendo attacchi aerei e missilistici contro oltre 60 obiettivi in 16 postazioni militari degli Houthi in territorio yemenita, in particolare nel porto di Hodeidah e nella capitale Sanaa.
Ansar Allah, un movimento che è sopravvissuto a più di 8 anni di guerra con i sauditi, e che non può certamente essere eliminato con dei semplici attacchi aerei, ha già risposto che non si lascerà intimidire e risponderà all’offensiva angloamericana.
Sebbene militarmente dipendente dall’Iran, quello di Ansar Allah rimane però un movimento fieramente autonomo. La decisione di dichiarare guerra a Israele, e di prendere di mira il traffico navale legato allo stato ebraico, è dovuta, oltre che alla solidarietà nei confronti di Gaza, a interessi del gruppo.
Gli USA, dal canto loro, si trovano a dover fare i conti con una minaccia all’ordine internazionale da essi presieduto, che è in gran parte frutto delle loro passate politiche fallimentari nella regione.
La sfida lanciata dagli Houthi complica il panorama regionale e ne inasprisce le tensioni. Essa conferma che il protrarsi del catastrofico conflitto di Gaza sta riattivando numerosi focolai regionali più o meno latenti, i quali si evolvono poi secondo dinamiche proprie ed autonome, ma per altri versi interconnesse.
Con gli attacchi aerei americani e britannici, una spirale di escalation sembra definitivamente essersi innescata nel Mar Rosso. Il rischio è che una progressiva saldatura di questo ed altri focolai di crisi porti a una pericolosissima e incontrollabile deflagrazione regionale."
(estratto da: Roberto Iannuzzi, Intelligence for the People)
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...BUONE FESTE
Trasmissione del 18 dicembre 2023
"La spesa militare aggregata dell’UE e dei Paesi europei della NATO ha raggiunto i 346 miliardi di dollari nel 2022, con un aumento dell’1,9% in termini reali rispetto al 2021 e del 29,4% rispetto al punto di minimo del 2014. È quasi quattro volte la spesa della Russia e l’1,65% del PIL totale. Ciò può sembrare logico in tempo di guerra. Ma le cose sono davvero così semplici? In Europa spesso rivendichiamo l’umanesimo e l’illuminismo come principi centrali. Questi ci impongono di valutare una politica in termini di contributo al progresso dell’umanità, da un lato, e della ragione, dall’altro. È quindi legittimo, anzi essenziale, chiedersi in che misura questo aumento delle spese militari risponda alle sfide che l’umanità deve affrontare oggi, e quali ne siano la logica e le conseguenze, al di là della legittima emozione suscitata dall’ingiustificabile invasione dell’Ucraina da parte della Russia.
Oltre alle spese militari nazionali, la stessa Unione Europea ha aumentato esponenzialmente il proprio bilancio in armamenti in pochi anni. Mentre i Trattati europei per lungo tempo hanno escluso l’uso del bilancio comunitario per attività di questo tipo, oggi l’UE destina almeno il 2% del suo bilancio a scopi militari. A parte gli aiuti militari all’Ucraina, si tratta principalmente di finanziare l’industria degli armamenti attraverso il Fondo europeo per la difesa (European Defence Fund EDF) o il Fondo per le nuove munizioni (ASAP), ma anche attraverso l’accesso facilitato alla maggior parte dei fondi strutturali europei, Erasmus+ per rendere il settore più attraente per i giovani laureati, o il programma ambientale LIFE per sviluppare armi “verdi”. Il fatto che il Fondo EDF e l’ASAP si basino sulla competenza dell’UE in materia industriale e siano guidati dal Commissario responsabile del mercato interno e dell’industria, illustra già la logica sottostante: si tratta innanzitutto di sovvenzioni per sostenere la competitività dell’industria militare europea, anche a livello internazionale. Cioè, sostenere le esportazioni di armi che poi alimentano la corsa agli armamenti globale e i conflitti in tutto il mondo.
Non sorprende quindi che solo 4 Paesi ricevano quasi i 2/3 del budget stanziato finora dal Fondo per la Difesa: Francia, Italia, Spagna e Germania, ovvero le 4 principali potenze militari dell’UE e i maggiori esportatori di armi al mondo. Eppure, l’aumento delle spese militari e il commercio globale di armi hanno un impatto diretto sulla pace.
Un recente studio empirico ha confermato che sia la spesa militare che le esportazioni/importazioni di armi influenzano il coinvolgimento degli Stati nei conflitti armati: l’aumento della spesa militare o delle esportazioni/importazioni di armi di uno Stato aumenta la probabilità che questo Stato sia coinvolto in uno o più conflitti armati. Inoltre, più alta è la spesa militare di un Paese, più alte tendono ad essere le sue esportazioni e/o importazioni di armi.
Quando i Paesi destinano una quota maggiore del loro bilancio a scopi militari, la probabilità che siano coinvolti in conflitti armati aumenta, poiché tendono a fare affidamento sull’importazione di armi e soluzioni militari per soddisfare le loro esigenze di sicurezza, a scapito di approcci pacifici. Inoltre, quando un Paese aumenta le proprie spese militari, ciò può causare un maggiore senso di insicurezza tra i rivali regionali, inducendoli a loro volta ad aumentare le spese e così via, alimentando una corsa agli armamenti.
A beneficiare in modo tangibile del drastico aumento della spesa militare europea sono soprattutto le industrie belliche: le 15 principali aziende europee produttrici di armi hanno già visto aumentare le loro vendite dell’1,5% (per un totale di 95,8 miliardi di euro) e i loro profitti dell’11,2% nel 2022. L’industria degli armamenti ha approfittato dello shock generato dall’invasione russa per posizionarsi, contro ogni evidenza, come attore indispensabile, “sostenibile” e “pacificatore”, alimentando ancora di più la corsa agli armamenti e il ciclo economico militare. Dal punto di vista politico, ciò si riflette anche in un nuovo preoccupante sviluppo della narrazione nell’ambito dell’Unione Europea, che era già passata dallo “sviluppo per la sicurezza” alla “sicurezza per lo sviluppo”: oggi, la sicurezza si limita alla difesa e “la difesa inizia con l’industria”.
L’Europa è un continente forte grazie alla cooperazione che ha instaurato tra gli Stati membri a partire dal 1958, nonostante difficoltà e limiti, e il cui obiettivo primario era evitare una nuova corsa agli armamenti tra gli Stati. Questa esperienza di lavoro tra nazioni diverse è ciò che l’Europa dovrebbe promuovere per portare un altro tipo di sicurezza nel mondo."
Laetitia Sedou, Project Officer di ENAAT
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Estratto da "Ancora austerity?
Tratto dalla trasmissione del 11 dicembre 2023
Pietro e Sergio discutono di green deal e democrazia
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ANCORA AUSTERITY?
Trasmissione del 11 dicembre 2023
“Dopo le intense consultazioni delle ultime settimane e mesi, ci siamo quasi. Non è stato possibile giungere ad un accordo su tutte le consultazioni politiche, giuridiche e tecniche, ma speriamo di ultimare il lavoro nei prossimi giorni e settimane, in modo da poter trovare un accordo politico entro fine anno”.
Con queste parole il ministro spagnolo dell’economia Nadia Calviño ha riassunto i lavori del Consiglio Ecofin, conclusosi venerdì a Bruxelles, sotto la presidenza di turno del suo Paese.
L’unica decisione presa è stata quella dell’approvazione dei Recovery Plan revisionati da parte di tredici Paesi (tra cui l’Italia), per i quali la Commissione aveva già dato una preliminare valutazione positiva. Diventa così pienamente efficace il nuovo PNRR da 194,4 miliardi, con la quota di sovvenzioni salita a 71,8 miliardi (+2,9) e quella di prestiti rimasta inalterata a 122,6 miliardi.
Sono invece rimaste sul tavolo le tre proposte legislative (due regolamenti ed una direttiva) su cui il lavoro continuerà nei prossimi giorni, fino a giungere ad un Ecofin straordinario da tenersi tra il 18 e il 21 dicembre. Quello che sembrava un accordo ormai vicino, su cui la presidenza spagnola manifestava ottimismo da qualche mese, appare ancora lontano. Soprattutto se si considera il fatto che almeno un regolamento è soggetto ad approvazione all’unanimità e quindi non contano le alleanze. Ognuno tutela i propri interessi e oggi, nella prima fila del fuoco non ci siamo noi ma la Francia.
Che proprio ieri è stata messa nel gruppo dei “cattivi” nelle conclusioni dell’Eurogruppo. Infatti, nelle conclusioni sulle bozze delle rispettive leggi di bilancio del 2024 già oggetto delle valutazioni della Commissione qualche giorno fa, l’Eurogruppo separa gli Stati membri in tre gruppi. Quelli i cui bilanci sono in linea con le raccomandazioni della Commissione (Cipro, Estonia, Grecia, Spagna, Irlanda, Lituania e Slovenia); quelli che sono sostanzialmente in linea (Austria, Germania, Italia, Lussemburgo, Lettonia, Malta, Olanda, Portogallo e Slovacchia); quelli che invece sono a rischio di non conformità (Belgio, Finlandia, Francia e Croazia). Questi ultimi sono stati “invitati” dall’Eurogruppo ad allinearsi “tempestivamente” alle raccomandazioni della Commissione.
Quello che lascia davvero perplessi delle conclusioni dell’Eurogruppo è l’enfasi sulla necessità di una politica di bilancio restrittiva, sia nel 2024 che oltre.
Lascia perplessi perché l’economia dell’eurozona è ancora, e lo sarà a lungo, sotto l’effetto restrittivo dello shock del rialzo dei tassi di interessi in una misura con pochi precedenti storici (450 punti in 12 mesi). Tale effetto restrittivo ha appena cominciato a farsi sentire sui redditi dei cittadini e sull’attività delle imprese e presto vedremo crescere le sofferenze bancarie. Allo stesso tempo, l’inflazione risente prepotentemente in fase discendente della corrispondente dinamica dei prezzi energetici, e la Bce si gode lo spettacolo di una discesa a cui ha contribuito poco o nulla.
Aggiungere a tali effetti quelli, altrettanto restrittivi, della politica di bilancio, appare davvero una punizione autoinflitta, a cui peraltro l’Eurozona è abbastanza abituata.
Tali effetti restrittivi potrebbero essere ancora più evidenti, qualora da i limiti del riformando Patto di Stabilità non si riuscissero a escludere almeno gli investimenti del PNRR. Infatti se la riduzione di deficit e debito dovesse riguardare tutte le spese dello Stato – all’interno delle quali ci sono le rilevanti spese del PNRR – a comprimersi saranno giocoforza tutte le altre voci di spesa. Perché è il totale che conta. E non vogliamo immaginare gli effetti su sanità, pensioni, dipendenti pubblici e consumi della PA.
Insomma, ancora una volta stiamo inseguendo prescrizioni di politica economica gravemente recessive. Con l’aggravante che ne abbiamo già provato gli effetti dal 2011 al 2019 ma, evidentemente, non è bastato."
Giuseppe Liturri, Startmagazine
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FABIO DRAGONI presenta "Per non morire al verde"
Trasmissione del 10 dicembre 2023
IN ANTEPRIMA ESCLUSIVA su Libertà di Pensiero Meglio di Niente, Fabio Dragoni ci parladel suo nuovo libro, in uscita martedi 12 dicembre in tutta Italia.
Retroscena, approfondimenti - e battute! - sul contenuto e i temi di "Per non morire al verde" (edizioni Il Timone, 2023)
Scoprirete come funziona la macchina succhiatrice (!) islandese, ma non saprete "cosa c'entra il culo con le Quarantore" finché non avrete letto il libro fino in fondo.
Una volta l’uomo si adattava al clima. Oggi invece pensano di averlo cambiato e di cambiarlo, come novelli danzatori della pioggia. La transizione energetica di cui tanto straparlano non è un’innovazione tecnologica. Nessuno ha inventato il motore ad acqua. Semplicemente pensano di dare al mondo tutta l’energia che gli serve con dei mulini a vento. Di acciaio e cemento, ma pur sempre mulini. Funzionerà? Ovviamente no! Ma se non serve a nulla allora serve a qualcos’altro. Infatti mica vogliono farti acquistare l’auto elettrica. Vogliono proprio che tu l’auto non ce l’abbia. Ed il bello è che lo scrivono pure! Ma i piani ben riusciti funzionano solo nei film. È questa la buona notizia!
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Le profezie
Estratto dalla trasmissione del 10 dicembre 2023
Pietro Bargagli Stoffi presenta il libro di Fabio Dragoni.
Vengono citate alcune "profezie" relative al clima.
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REAZIONE A CATENA
Trasmissione del 4 dicembre 2023
"Non è la prima volta che anche le nostre ipotesi più ardite vengono confermate dalla realtà, ma non immaginavamo che accadesse così in fretta. Infatti, venerdì 24 novembre una società del gruppo immobiliare Signa controllato dal magnate austriaco René Benko ha presentato istanza di fallimento presso il Tribunale di Berlino e c’erano timori che altre società del gruppo potessero fare altrettanto. E infatti mercoledì la capogruppo Signa Holding ha presentato istanza di insolvenza presso il Tribunale commerciale di Vienna. In particolare la società ha chiesto l’apertura di una procedura di riorganizzazione in auto-amministrazione.
Parliamo di un gruppo societario estremamente articolato che è stato protagonista delle maggiori operazioni di sviluppo immobiliare negli ultimi anni in Germania e, da ultimo, sta costruendo ad Amburgo l’Elbtower, un grattacielo dalla forma avveniristica alto 254 metri. Le attività del gruppo sono pari a 27 miliardi – tra cui la catena di grandi magazzini Selfridges a Londra, il Chrysler Building a New York e il KaDeWe a Berlino – ma servono rapidamente almeno 600 milioni di liquidità aggiuntiva, altrimenti si rischia il collasso totale.
Un evento gravido di conseguenze sotto diversi aspetti, perché l’esposizione totale di Signa verso i creditori è pari a circa 13 miliardi, secondo una ricostruzione di Bloomberg. Benko è riuscito ad attrarre capitale azionario dai più blasonati e potenti gruppi imprenditoriali europei, come ad esempio la famiglia Peugeot che detiene il 4,6% di una società del gruppo.
Ma dopo gli azionisti, ci sono le banche, la cui esposizione verso Signa, lascia intendere che la lezione della crisi 2008-2009 non sia stata sufficiente. La banca svizzera Julius Baer è esposta per circa 600 milioni, che però costituiscono ben il 40% del portafoglio crediti più rischiosi. Una concentrazione inaudita. Secondo indiscrezioni non confermate, Unicredit e l’austriaca Raffeisen Bank International sarebbero esposte per circa 1,5 miliardi, di cui 755 milioni attribuiti a quest’ultima. Poi seguono tre Landesbanken come Helaba, NordLB e BayernLB (banche regionali di proprietà pubblica situate nelle ricche regioni della Baviera e dell’Assia) a cui Bloomberg attribuisce un’esposizione che si misura in centinaia di milioni. Le quotazioni dei bond delle società del gruppo sono già ridotte a poche decine di centesimi.
Benko sta manovrando da alcune settimane per trovare soci disposti a finanziarlo e già all’inizio del mese ha ceduto l’11,5% delle sue azioni al gruppo svizzero guidato da Arthur Eugster (macchine da caffè). Da ultimo, si parla di trattative in corso anche col gruppo americano Elliot management di Paul Singer ed altri fondi arabi. Per contribuire alla causa, è in vendita anche il mega yacht “Roma” di 62 metri per la “modica” cifra di 40 milioni. In ogni caso una goccia d’acqua nel mare dei debiti.
Signa è l’ennesimo classico esempio di crescita finanziata a debito finita in difficoltà. La duplice tenaglia costituita da un lato dall’aumento dei tassi di interesse e, dall’altro, dall’aumento dei costi di costruzione (materie prime in particolare) ha in breve tempo ridotto in carta straccia i business plan del magnate austriaco. I suoi progetti erano fondati su un fondamentale assunto: che i valori degli immobili crescessero sempre. Ma 450 punti di aumento dei tassi in 12 mesi sono stati il pungiglione che ha fatto scoppiare la bolla.
Il caso Signa – i cui effetti sul sistema bancario potrebbero ancora essere contenuti – costituisce però il primo (importante) scricchiolio in un settore che è già sotto i riflettori della Bce. Risale infatti a martedì scorso un intervento del membro del comitato direttivo Isabel Schnabel all’Università di Würzburg in cui è stato posto l’accento sulla repentina crescita dei prezzi degli immobili residenziali in Olanda, Germania e Francia. Rispetto al dicembre 2019, in Germania l’aumento è arrivato poco sopra il 30%, per attestarsi attualmente ancora al di sopra del 20%. In Italia siamo inchiodati intorno al 5%.
Se le difficoltà di Signa dovessero allargarsi a macchia d’olio a tutto il settore, coinvolgerebbe un quinto del PIL tedesco ed un decimo dei posti di lavoro. E la prospettiva di un rapido coinvolgimento del Srf diventerebbe concreta. Con la conseguenza che saranno i contributi delle nostre banche a quel fondo a salvare le banche tedesche e austriache e i contributi della Repubblica Italiana al Mes (14 miliardi) a consentire al Mes di erogare quel prestito paracadute al Srf per non farlo restare a secco. Il tutto sempre previo salasso (cioè il bail-in) a carico di azionisti, obbligazionisti ed, eventualmente, depositanti.
Dopo 12 anni, “Fate presto” potrebbe essere il titolo di qualche quotidiano tedesco, per chiedere la ratifica della riforma del trattato del Mes."
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Il prezzo del gas 2021÷2023
Estratto dalla trasmissione "REAZIONE A CATENA" del 4 dicembre 2023
Sergio Giraldo (La Verità) commenta il grafico del prezzo del gas nel periodo 2021÷2023.
Come sottolineato, l'aumento iniziò ben prima dello scoppio del conflitto in Ucraina.
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TEMPUS FUGIT
Trasmissione del 29 novembre 2023
Il governo prende tempo sulla ratifica del Meccanismo europeo di stabilità, il Mes, mentre i partiti ne discutono sottovoce e procede il dialogo in Parlamento.
Al momento, però, nessuna ufficialità su quando e se ci sarà l’approvazione in Aula. Il contraltare alla ratifica, da sempre osteggiata a destra e in particolare dalla presidente del Consiglio Giorgia Meloni, sembra essere la modifica del Patto di Stabilità.
La premier parla di passaggio storico quando si riferisce al summit a cui ha partecipato giovedì 22 novembre a Berlino. Tuttavia, permangono divisioni tra Meloni e il cancelliere tedesco Olaf Scholz sul Patto di Stabilità e in particolare sulle stringenti proposte tedesche.
Il cuore della richiesta italiana è scorporare gli investimenti previsti dal Piano nazionale ripresa resilienza, il Pnrr, in particolare su green e digitale, dal calcolo del deficit. “Io non posso firmare un Patto che non tuteli gli investimenti”, commenta il cancelliere tedesco. Eppure, si tratta: Meloni e Scholz hanno firmato un piano d’azione che punta a rafforzare la collaborazione tra Roma e Berlino su diversi temi, come economia, energia, politica estera e di difesa.
Un accordo che è “un’ottima notizia anche per l’Europa”, ha detto Meloni durante la conferenza congiunta con Scholz.
Intanto, si apprende che “sulla richiesta della quarta rata di pagamenti”, nel contesto del Netx Generation Ue, “la Commissione continua il suo dialogo costruttivo con le autorità italiane.
La Banca centrale europea, ieri mercoledì 22 novembre, facendo riferimento alla recente decisione dell’Eurotower di non alzare i tassi, ha evidenziato che “il pieno impatto” della scelta “ancora non si vede”.
Sui tassi si è espresso anche il governatore della Bundesbank, Joachim Nagel, che sostiene: “Tutti devono ridurre il debito, i tassi sono vicini al limite”. Nonostante l’inflazione in calo, “serve cautela perché ci sono ancora molti rischi”. “La guerra, spiega, può infiammare il prezzo dell’energia e questo causerebbe nuovi problemi”
Intanto, in Parlamento spunta l’intesa sulla manovra, dopo che le tre proposte di modifica alla Legge di bilancio presentate in Senato sono state ritirate. La mossa, infatti, tradiva il patto di maggioranza e l’allineamento sul non presentare emendamenti all’interno del centrodestra. Massimiliano Romeo, capogruppo della Lega, ha provato a chiudere la questione dichiarando: “Evidentemente ho capito male e ho già dato mandato di ritirarli e di trasformarli in ordini del giorno”.
Il fraintendimento ha portato a grande tensione tra Parlamento ed esecutivo.
LumsaNews, B.Subissi 23.11.2023
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QUALE TRAGUARDO?
Trasmissione del 22 novembre 2023
La Germania ed il suo debito pubblico,il nuovo patto di stabilità, MPS, quale futuro per l'Italia e l'unione europea?
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SOTTOSOPRA
Trasmissione del 13 novembre 2023
"Quando si sono incontrate l’ultima volta a Bruxelles, a margine del vertice europeo dei capi di Stato, Christine Lagarde sperava che lo strappo italiano non ci fosse. Ma poiché non lo considera definitivo, la presidente della Banca centrale europea ha deciso di mandare a Giorgia Meloni (e non solo) un messaggio a mezzo stampa. «Mi fa sentire a disagio che non si sia trovato ancora un accordo sulla riforma del patto di stabilità». Il fatto che Lagarde rilasci un’intervista ad un evento del Financial Times a poche ore dalla riunione dell’Ecofin che ha riavvicinato le posizioni di Berlino e Parigi non è ovviamente un caso. «Sono leggermente rassicurata dal fatto che Germania e Francia stanno lavorando insieme ad un accordo, ma non ci sono solo due Paesi. E’ però possibile che se continuano a lavorare insieme si arrivi ad un accordo entro fine anno».
Intanto l'agenzia Fitch ha confermato il rating BBB dell'Italia con un outlook stabile.. Alla base della decisione, si spiega, l'economia ampia, diversificata e ad alto valore aggiunto dell'Italia, cui si contrappone tuttavia «fondamentali macroeconomici e fiscali deboli», in particolare con «un debito pubblico molto elevato, una politica fiscale relativamente allentata dopo la pandemia, un potenziale di crescita economica contenuto e, più recentemente, rendimenti più elevati» dei titoli di Stato. L'Outlook stabile riflette la stima di Fitch secondo cui il debito pubblico/PIL si stabilizzerà nei prossimi anni intorno al livello di fine 2022 mentre la stabilità della coalizione di governo «limita i rischi politici».
Perché la presidente della Bce, un organo apparentemente tecnico, entra a gamba tesa nella trattativa fra governi invitandoli ad un accordo? Lagarde è preoccupata del possibile stallo. Di più: teme che il mancato accordo spinga l’Italia fuori dalle regole, innescando conseguenze imprevedibili sui mercati. A un lustro esatto dalla crisi che portò il governo Berlusconi alle dimissioni, l’architettura europea è molto più solida di allora. A luglio dell’anno scorso il consiglio dei governatori di Francoforte ha varato uno scudo finanziario (si chiama Trasmission protection instrument) che eviterebbe le conseguenze che allora spinsero l’Italia a un passo dal default. Ma perché quello scudo possa essere attivato a favore di un certo Paese occorrono alcune condizioni, la prima delle quali è rispettare le regole europee e non essere sottoposto a procedura di infrazione. Ebbene - questo il non detto di Lagarde - lo stallo sulle regole del Patto sarebbe una picconata alle fondamenta costruite in dodici anni di politica europea.
Si dirà: la situazione italiana è molto diversa da allora, il differenziale con i titoli tedeschi resta contenuto e non è lontanamente comparabile a quello di allora: ieri, nonostante lo strappo di Giorgetti all’Ecofin, è sceso a 185 punti. Vero, l’esperienza però insegna che per cambiare le cose talvolta basta una miccia. Una di queste - nel caso italiano - potrebbe essere il declassamento di un’agenzia di rating. Moody’s ad esempio, che sull’Italia si pronuncerà il 17 novembre, giudica il debito italiano al limite dell’«investment grade». Se il suo giudizio peggiorasse di un solo gradino, Francoforte non potrebbe aprire più il paracadute sui titoli italiani, comprando debito in vece degli investitori privati.
Il contesto attorno all’Italia non è dei più favorevoli. I tassi di interesse, ad esempio, sono molto più alti di quelli di un lustro fa: non raggiungevano il quattro per cento dal lontano 2007. E poiché l’inflazione potrebbe tornare a crescere, Lagarde ha avvertito che i tassi resteranno alti a lungo: «Ci vorrà più di un paio di trimestri prima che la Bce inizi a tagliarli». Inflazione, tassi alti, bassa crescita, tensioni internazionali: le premesse per la tempesta perfetta ci sono tutte. Il messaggio di Lagarde a Roma (e a Parigi, e a Berlino) si può sintetizzare così: ci manca solo l’Italia isolata ai tavoli europei."
A. Barbera, La Stampa, 11 Novembre 2023
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TORNIAMO UMANI
Trasmissione del 6 novembre 2023
"- Nella vita che viviamo ogni giorno sono poche le cose belle. Il lavoro difficilmente è bello. L’universo cittadino è insopportabile. La nostra esistenza è fatta di tante piccole cose mediocri o dolorose. Che cosa resterebbe di bello intorno a noi (oltre alla natura e alle opere d’arte?). La gioventù. Ebbene questa gioventù ci appare oggi mascherata, mortificata, invecchiata. Pochi giorni fa, ero a Palermo alla ricerca di personaggi per un mio film, ed ecco che si è presentato in albergo un gruppo di barbe in fondo alle quali brillavano degli occhi. Occhi anche simpatici, non dico di no, ma io in realtà non sapevo bene con chi stavo parlando, non capivo: avevo davanti a me un muro di barbe e basette. Non vedevo più i lineamenti dolcemente umani della gioventù, le gote illuminate da quella forza misteriosa che si possiede soltanto per pochi anni nella vita. Il modo in cui si vestono i giovani è già di per se stesso sgradevole. Ma è appena un elemento accessorio del bisogno di mortificazione e di mistificazione del proprio aspetto. Il linguaggio principe, non verbale, con cui i giovani si esprimono sono i capelli.
- Ciò implica necessariamente la decadenza della comunicazione verbale. La parola è in crisi?
- Sì che è in crisi la parola. Nel senso che oggi gli uomini tendono a sacrificare totalmente l’espressività alla comunicatività.
- Che cosa intende dire di preciso?
- Come lei sa, ogni lingua è composta di varie lingue specialistiche, particolari o gergali. Fino a qualche anno fa alla guida dell’italiano c’era la lingua letteraria, cioè una lingua tipica della sovrastruttura. Oggi si assiste ad un fenomeno nuovo e madornale: alla guida dell’italiano non c’è più una lingua della sovrastruttura, ma una lingua dell’infrastruttura. Cioè la lingua delle aziende, del mercato. Quest’ultima è una lingua comunicativa, e semplicemente comunicativa. Chi deve offrire della merce deve farsi immediatamente capire da chi la richiede; chi deve produrre, deve farsi immediatamente capire da chi deve consumare. Nell’ambito della fabbrica, dirigenti e tecnici devono immediatamente capirsi fra loro. Inoltre, se ci si rivolge alla “massa”, il discorso deve essere assolutamente comprensibile: non solo, ma non deve neanche porre il problema della comprensibilità. Dev’essere cioè perfettamente normale (come sono sempre infatti i discorsi nei giornali e soprattutto alla televisione). Se dunque la lingua-pilota è questa, tutto lo spirito dell’italiano tenderà a perdere particolarismi ed espressività per acquistare in comunicatività pura. Si tratta certo di un impoverimento, di una “perdita di umanità”. Quanto ai giovani essi stanno perfettamente adottando questo modo di parlare omologato e tutto uguale: anche coloro che si battono contro la società che lo esprime.
- Meglio, quindi, le società repressive?
- Sì, almeno in quanto la tolleranza è la peggiore delle repressioni. Il peso del potere classico creava situazioni estreme, che l’uomo viveva con tutto se stesso: o rassegnandosi, fino a forme di santità, o ribellandosi, fino a forme di eroismo. I diversi, i perseguitati, gli esclusi, vivevano la loro condizione umana come una tragedia: ma questa tragedia non li umiliava.
La tolleranza smussa gli estremi e riporta tutto nel mezzo, omologandolo. Certi fatti e certi uomini non possono essere ridotti alla normalità? Ebbene, cataloghiamoli, facciamo un dialogo, comprendiamoli, dice il Potere tollerante. Così facendo crea dei ghetti diversi, ‘nominati’: e dà loro il permesso di esistere! Cosa c’è di più umiliante? Nel mezzo, nell’immensità della maggioranza silenziosa, il dovere è quello di assomigliarsi tutti. I casi anche appena eccessivi, sono ‘da ghetto’.
[...]
- Non amo il nuovo tipo di civiltà borghese, in cui mi tocca vivere, non amo l’applicazione della scienza, questo serrato, inesorabile, ciclo di produzione e consumo, non amo l’uomo trasformato in consumatore. Come non amo la scomparsa della cultura, dell’arte, dell’artigianato, del contadino, della religione… Quando i contadini erano soli nei campi e alzavano la frasca di ulivo per scongiurare il temporale, rappresentavano una forma autentica, reale, della vita umana. Era cultura, anche se sotto forma di un’oscura, rustica, religiosità."
Pier Paolo Pasolini intervistato da Massimo Conti, Il futuro è già finito, Panorama, 8 marzo 1973
https://www.cittapasolini.com/post/il-futuro-%C3%A8-gi%C3%A0-finito-intervista-a-pier-paolo-pasolini-1973
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Seergio Giraldo: "Il green deal, una nuova frontiera della lotta di classe"
Estratto dalla trasmissione "Torniamo umani" del 6 novembre 2023
La sinistra ha smesso di fare la lotta di classe, ma il capitale non ha mai smesso, neppure per un secondo.
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Trasmissione del 30 ottobre 2023
"L'Assemblea generale delle Nazioni Unite ha adottato venerdì un'importante risoluzione sulla crisi di Gaza, chiedendo una "tregua umanitaria immediata, duratura e sostenuta che porti alla cessazione delle ostilità".
La ripartizione del voto registrato, condotto poco prima delle 16:00 (ora di New York), ha visto 120 membri a favore, 14 contrari e 45 astensioni. [Un Paese membro dell'ONU, a causa di difficoltà tecniche, ha cambiato il proprio voto dopo la registrazione, per cui il risultato finale è stato di 121 favorevoli, 14 contrari e 44 astensioni].
Come deciso dall'Assemblea Generale all'inizio della giornata, la risoluzione richiedeva una maggioranza di due terzi dei membri presenti e votanti per essere adottata.
Nella risoluzione "Protezione dei civili e rispetto degli obblighi legali e umanitari", l'Assemblea ha anche chiesto a tutte le parti di "rispettare immediatamente e pienamente" gli obblighi previsti dalle leggi internazionali in materia umanitaria e di diritti umani, "in particolare per quanto riguarda la protezione dei civili e degli oggetti civili".
Ha inoltre esortato a proteggere il personale umanitario, le persone non in grado di combattere, le strutture e i beni umanitari e a consentire e facilitare l'accesso umanitario per le forniture e i servizi essenziali per raggiungere tutti i civili bisognosi nella Striscia di Gaza".
Inoltre, la risoluzione chiedeva di revocare l'ordine impartito da Israele, "la potenza occupante", ai civili palestinesi, al personale delle Nazioni Unite e agli operatori umanitari di evacuare tutte le aree della Striscia di Gaza a nord di Wadi Gaza e di trasferirsi a sud.
L'Assemblea Generale ha inoltre chiesto il "rilascio immediato e incondizionato" di tutti i civili tenuti illegalmente prigionieri, chiedendo la loro sicurezza, il loro benessere e un trattamento umano in conformità con il diritto internazionale.
Ha inoltre ribadito che una "soluzione giusta e duratura" al conflitto israelo-palestinese può essere raggiunta solo con mezzi pacifici, sulla base delle pertinenti risoluzioni delle Nazioni Unite e in conformità con il diritto internazionale, e sulla base della soluzione dei due Stati."
Immagine: Tullio Crali "Incuneandosi nell'abitato", 1939
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Qual è la linea rossa da non superare? (estratto da "LOGICA DELLE ARMI o armi della logica")
Estratto dalla trasmissione del 16 ottobre 2023
Giuseppe Liturri pone alcuni quesiti sulla guerra in atto tra Israele ed Hamas.
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LOGICA DELLE ARMI o armi della logica
Trasmissione del 16 ottobre 2023
"Una settimana fa, gli israeliani hanno sperimentato il terrore puro: un nemico che credevano debole ha invaso il silenzio dei loro cortili, delle loro cucine e delle loro camere da letto e si è scatenato con una ferocia insondabile. Il presunto sistema di sicurezza israeliano, infallibile e invincibile, che avrebbe dovuto difenderci, è svanito nel nulla.
Il crimine che ha avuto luogo in Israele non è come gli altri massacri. Il nemico, che è penetrato in profondità nella sfera privata della popolazione civile, e la paralisi in corso dell'intero sistema hanno creato un'esperienza traumatizzante di terrore. Hamas ha dimostrato di superare persino lo Stato Islamico nella sua capacità di terrore e di assassinio. Questo trauma probabilmente cambierà la cultura politica di Israele in modo irreversibile. Israele non sarà più quello che era fino al 7 ottobre 2023.
Ma c'è un'altra forma di orrore: la consapevolezza che il collasso dell'intero apparato di sicurezza non è un incidente isolato e isolato, ma il risultato di un grande fallimento sistemico. Ora capiamo che viviamo in una casa costruita sulla sabbia.
Questo fallimento sistemico si è verificato a tre livelli. Cominciamo dal più semplice: il governo sotto il quale è avvenuto questo crollo.
Il voto sulla clausola di adeguatezza, che fa parte della controversa riforma giudiziaria e che vieta alla magistratura di rivedere in futuro l'"adeguatezza" delle decisioni del gabinetto e dei ministri, è stato preceduto da un rifiuto: Benjamin Netanyahu si è rifiutato di incontrare il capo di Stato Maggiore Herzi Halevi il 24 luglio. Quest'ultimo voleva informare il primo ministro sul deterioramento della situazione della sicurezza.
Halevi non era solo. Il ministro degli Esteri egiziano ha informato Netanyahu che Hamas stava preparando qualcosa. Gli ex capi del servizio di intelligence nazionale Shin Bet, del Mossad e alti ufficiali militari come Gadi Eisenkot hanno sottolineato che la riforma giudiziaria vincola le forze e quindi rappresenta una minaccia per la sicurezza.
Anche quando la portata dell'orrore è diventata nota, il 7 ottobre, lui e i suoi ministri non sono riusciti a formulare parole umane di scuse e consolazione. La performance di Netanyahu nel dichiarare lo stato di guerra è stata spaventosa. Il suo tono robotico mancava di umanità ed empatia.
Nessun essere umano decente avrebbe potuto dormire o continuare a lavorare dopo che 1300 civili e soldati erano stati brutalmente assassinati. Ricordiamo la depressione di Begin di fronte alle numerose perdite causate dalla prima guerra del Libano. I nostri politici, invece, ci hanno dato lo spettacolo delle loro narcisistiche lotte politiche per un governo di unità nazionale.
Il secondo livello di fallimento sistemico riguarda l'esercito e il concetto politico alla base della strategia militare. Per decenni Netanyahu ha voluto farci credere che l'Iran fosse il vero nemico di Israele, che Hamas dovesse essere contrapposto all'Autorità Palestinese per impedire la soluzione dei due Stati.
Ci ha fatto credere che il conflitto potesse essere gestito come un conflitto militare a bassa intensità con scoppi occasionali e che il Medio Oriente potesse essere trasformato e plasmato cancellando de facto il problema palestinese dalla mappa del nuovo Medio Oriente. La tecnologia, le armi ad alta tecnologia e i massicci accordi commerciali con gli Stati arabi avrebbero dovuto sostenere questo sogno.
Questa dottrina di sicurezza si è rivelata vuota. Il Capo di Stato Maggiore Herzi Halevi, che vive nell'insediamento di Kfar HaOranim, è in parte responsabile del processo in cui l'esercito ha cambiato identità. Dobbiamo stupirci se sotto la sua guida tanti soldati sono stati ritirati dalla regione meridionale e trasferiti in Cisgiordania? Siamo sorpresi che le autorità degli insediamenti abbiano pensato che le risorse militari dovessero essere concentrate nella loro area?
Un sistema di difesa che crolla così rapidamente è marcio dall'interno e ideologicamente offuscato. Un fallimento così massiccio può essere legato solo alla visione politica del mondo che ha plasmato l'esercito negli ultimi due decenni.
Il terzo livello è il più inquietante. Lo Stato stesso è crollato durante questo evento straziante. Centinaia di persone avrebbero potuto essere salvate se la polizia e l'esercito fossero arrivati prima. La giornalista franco-israeliana Danièle Kriegel ha riferito che i soldati non potevano muoversi perché non ci sono treni durante lo Shabbat. Perché non c'erano autobus? (continua)"
Eva Illouz, docente franco-israeliana di sociologia presso l'Università Ebraica di Gerusalemme e l'École des hautes études en sciences sociales (EHESS) di Parigi. NZZ, 14 ottobre 2023
Foto QudsPress
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Il problema è la Commissione! (estratto da LOGICA DELLE ARMI o armi della logica)
Estratto dalla trasmissione del 16 ottobre 2023)
Marco Montanari : Il ruolo della UE nello scacchiere internazionale, il potere della commissione, quanto conta il Parlamento europeo?
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LA RIVOLTA
Trasmissione del 9 ottobre 2023
he massive terrorist attack on Israel cities, followed by a brutal counterstrike, have brought the Hamas group under the spotlight. The Palestinian terrorist group made global headlines yesterday by firing over 5,000 rockets at Israel and overpowering its formidable aerial defence system, the Iron Dome. More than 500 people have been killed in Hamas' attack and Israel's retaliation.
Here is a look at Hamas' history, ideology and demands
How Hamas Began
The organisation was founded in 1987 by Ahmed Yassin and Abdel Aziz al-Rantissi as an arm of the Egyptian Muslim Brotherhood. Hamas stands for Harakat al-Muqawamah al-Islamiyya, meaning Islamic Resistance Movement. 'Hamas' means zeal. In 1988, a Hamas Charter spelt out that its goal was to liberate Palestine and to establish an Islamic State in the area that spans Israel, the West Bank and the Gaza Strip. In later years, the group has said it would accept a truce if Israel retreats to pre-1967 borders, pays reparations and allows Palestinian refugees to return. It has also said it would end its links with the Muslim Brotherhood. Israel, however, has trashed Hamas' claims and accused it of trying to "fool the world".
Hamas: Structure And Support
Hamas has a cultural wing, Dawah, and a military arm, Izz ad-Din al-Qassam Brigades. Hamas enjoys the backing of Iran and is part of a bloc comprising Iran, Syria and Islamist group Hezbollah in Lebanon. All the members of the bloc oppose the US policy in the region. According to reports, Iran's foreign ministry has said Hamas' attacks yesterday were proof of "Palestinian people's confidence in the face of the occupiers". Hamas has supporters across Palestine territories and in other countries of the Middle East. In the region, Iran, Syria and Yemen have backed Hamas on the attacks, describing them as "proud" and "heroic". Qatar has held Israel solely responsible for the situation. Arab League and Jordan, too, have flagged Israel's policies and its link to the current conflict. Egypt, Morocco and Saudi Arabia have called for restraint.
Globally, Hamas has been designated as a terrorist organisation by Israel, the US, European Union, Canada, Egypt and Japan. In 2018, a resolution moved by US to condemn Hamas' activities was voted down in the UN General Assembly.
Hamas vs Fatah
Hamas' emergence in the Palestinian political scene brought it in direct confrontation with Fatah, founded and led by Yasser Arafat. Founded as a paramilitary organisation, Fatah, in the 1990s, later gave up armed resistance and backed the UN Security Council resolution to build a Palestinian State as per the 1967 borders alongside an Israeli State. Arafat's death in 2004 created a vacuum amid which Hamas emerged stronger. In 2007, the group seized control in Gaza after a civil war with Fatah. Since then, Hamas has controlled the Gaza Strip, while Fatah holds power in the West Bank. While Hamas identifies itself as Islamist, Fatah advocates secularism. The two sides are also different in their approach towards Israel. Hamas does not recognise Israel. While Hamas calls for armed resistance, Fatah has pushed for negotiations to find a way out. The two forces have consistently been locked in a turf war over the past couple of decades. Multiple agreements to resolve the conflict have collapsed. The latest fallout of this conflict was Hamas boycotting the 2021-22 Palestinian local elections. Fatah is currently led by Mahmoud Abbas, the President of the State of Palestine.
In a statement issued after yesterday's attacks, the State of Palestine did not name Hamas and said it has "repeatedly warned against the consequences of blocking the political horizon and failing to enable the Palestinian people to exercise their legitimate right to self-determination and establish long their own state".
NDTV World
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DOPPIO PESO
Trasmissione del 2 ottobre 2023
"Cos’è il genocidio? Anche, “infliggere deliberatamente ad un gruppo nazionale, etnico, razziale o religioso in quanto tale, condizioni di vita intese a provocarne la distruzione fisica totale o parziale”. Cos’è la pulizia etnica? Rendere un’area etnicamente omogenea, mediante l’uso della forza o dell’intimidazione, per allontanare da una determinata area persone di un differente gruppo etnico o religioso.
Altrimenti detto, in senso stretto genocidio significa “uccisioni di massa”, mentre pulizia etnica significa l’allontanamento forzato da un particolare territorio. Ciò che è in corso nel Nagorno-Karabakh (NK) sarebbe, quindi, pulizia etnica.
Né tale impostazione viene apertamente contraddetta dallo Statuto di Roma della Corte penale internazionale, concluso il 17 luglio 1998 e che Erevan forse ratificherà. Esso riconosce sì la “deportazione o il trasferimento forzato di popolazione” come un crimine contro l’umanità; ma specifica che “s’intende la rimozione delle persone, per mezzo di espulsione o con altri mezzi coercitivi, dalla regione nella quale le stesse si trovano legittimamente, in assenza di ragioni previste dal diritto internazionale che lo consentano”.
Esso riconosce sì “la deportazione e il trasferimento di tutta o di parte della popolazione del territorio occupato all’interno o all’esterno di tale territorio” come un crimine di guerra; ma non specifica “diretto o indiretto”, come invece fa a proposito di trasferimenti verso i territori occupati.
Insomma, lo Stato che opera i tragici eventi potrà sempre farla franca nascondendosi dietro il dito della assenza di provvedimenti specifici di espulsione. Come ieri la Jugoslavia, come oggi l’Azerbaigian.
Cacciare un popolo dalla sua terra
Dietro a quel dito si nasconde il presidente azerbaigiano Aliyev, secondo il quale “il processo di integrazione della popolazione armena che vive in Karabakh nella società azera avrà successo”. E pure il suo alleato di ferro Erdogan, per il quale “è motivo di orgoglio che l’operazione sia stata completata con successo in un breve periodo di tempo, con la massima sensibilità per i diritti dei civili”.
Invero – e nonostante ciò che ne pensa Tajani -, Baku ha esplicitamente negato alcun accordo o garanzia internazionale a beneficio della propria minoranza armena: “è una questione interna, sovrana” … cioè, ‘cogli Armeni ci facciamo quel che ci pare’.
Prima dei tragici eventi, non si può dire che la cosiddetta comunità internazionale si sia impegnata ad aiutare Erevan, anzi. A febbraio 2023, la Corte internazionale di giustizia (ICJ), ordinava all’Azerbaigian di garantire il libero transito del corridoio di Lachin … naturalmente senza esito. Il 21 agosto, il Consiglio di Sicurezza dell’Onu ospitava una parata retorica di Stati esortanti l’Azerbaigian a riaprirne il traffico.
Ma, pure a tragici eventi avviati, non si può dire che le cose siano cambiate di uno iota. Biden mandava ad Ereven la capa di USAID, Samantha Power; distintasi per una memorabile visita al Memoriale del genocidio armeno di ieri, mentre si svolgevano i tragici eventi di oggi. Nonché il vicesegretario ad interim per l’Europa e gli affari eurasiatici del Dipartimento di Stato, Yuri Kim; distintasi, mentre cominciava l’attacco azero, per aver pronunciato le ultime parole famose: “non tollereremo alcuna azione militare contro gli abitanti del NK”. Fatte proprie pure da Blinken: “l’uso della forza per risolvere le controversie è inaccettabile”.
Le due recavano una lettera di Biden. Tanti auguri per la festa dell’indipendenza e gli Usa “continueranno a stare al fianco dell’Armenia mentre lavorate per … cercare stabilità nel vostro vicinato”. I tragici eventi nel NK descritta come “la recente perdita di vite umane di etnia armena” e “le violenze più recenti”. Per l’avvenire, “cooperazione in materia di diversificazione energetica, resilienza e sicurezza, come dimostrato dalle nostre recenti esercitazioni militari” … cioè, i menzionati 88 uomini. Tradotto: nulla.
D’altronde, Biden è in tutt’altre faccende affaccendato: principalmente con l’Ucraina ed è lì che egli vuole rompere la schiena alla Russia … non dall’Armenia. Per far questo, ha bisogno dell’aiuto dell’alleato principale di Baku, la Turchia. Turchia, che si fa pagare bene in termini di rifornimenti militari … perché non in termini di acquiescenza in materia armena?
Bruxelles si era data un certo daffare a convincere Erevan a rendere il NK a Baku, ottenendone due accordi interlocutori. E non vincolanti visto che, ancor oggi, la stessa Bruxelles vorrebbe fossero “pubblicamente reiterati”.
Manifestamente, Leuropa non aveva alcun interesse alla tutela dei confini armeni. E fa ridere Pashinyan quando afferma che i due accordi mediati da Bruxelles sanzionano i confini di Stato.
Parimenti, Leuropa non aveva alcun interesse alla tutela degli armeni del NK."
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AUTUNNO CALDO?
Trasmissione del 11 settembre 2023
“Dobbiamo continuare a essere veri e sinceri e constatare che i sussidi alla politica economica non bastano. C’è la guerra, bisogna cogliere il senso della storia. La guerra in Ucraina ha già un perdente certo: l’equilibrio economico e le economie europee, tanto che l’esecrato intervento pubblico dello Stato è tornato di moda. Covid, clima, guerra stanno mutando il quadro”.
Lo ha detto il 4 settembre il ministro dell’Economia e delle Finanze, Giancarlo Giorgetti (nelle foto), al Forum Ambrosetti a Cernobbio dove nei giorni scorsi un sondaggio/televoto aveva fotografato l’impatto del conflitto in Ucraina sugli imprenditori presenti al forum.
Il 46,3% dei partecipanti ha avuto danni al proprio business a causa del conflitto russo-ucraino mentre oltre un terzo (34,3%) ha affermato di non aver avuto impatti significativi e il 10,5% ha registrato addirittura un miglioramento. Infine un 1,5% che non ha saputo rispondere e un 7,5% che invece ha risposto “altro”.
Il dato è riferito a quasi la metà dei rappresentanti della business community partecipanti al Forum che hanno risposto al primo televoto incentrato proprio sul conflitto in corso da oltre 18 mesi fra Russia e Ucraina.
Circa l’impatto del conflitto sull’economia europea sono interessanti anche i dati rivelati il 4 settembre dall’ong Global Witness ha rivelato che i “Paesi dell’Unione Europea stanno acquistando molto più gas naturale liquefatto (Gnl) russo rispetto a quanto facevano prima dell’invasione dell’Ucraina, con Spagna e Belgio battuti solo dalla Cina come primi acquirenti”.
Secondo i dati di Global Witness, che critica duramernte l’acquisto europeo di gas russo, tra gennaio e luglio 2023 i Paesi dell’UE hanno acquistato 22 milioni di metri cubi di Gnl mentre nello stesso periodo del 2021 se non stati acquistati 15 milioni con un + 40%. Global Witness – si legge – “prevede che gli acquisti dell’UE nel 2023 abbiano un valore di 5,29 miliardi di euro”. Sempre una ricerca di Global Witness ha rivelato che “Shell e TotalEnergies hanno continuato a commerciare il Gnl russo dopo l’invasione.
L’analisi di Global Witness del luglio 2023 ha mostrato che Total è il più grande acquirente non russo di gas liquefatto dal Paese, acquistando quasi 4,2 milioni di metri cubi di GNL russo dall’inizio dell’anno. Un’analisi precedente di Global Witness ha rivelato che tra marzo e dicembre 2022, Shell ha acquistato e venduto il 12% di tutte le esportazioni russe, oltre 7,5 milioni di metri cubi di Gnl.
La Spagna è ora il secondo maggior acquirente di GNL russo a livello mondiale, con il Belgio alle spalle. Nei primi sette mesi del 2023, la Spagna ha acquistato il 18% delle vendite totali della Russia, mentre il Belgio il 17%. La Cina ha acquistato il 20%. Nello stesso periodo del 2021, la Spagna era al quinto posto e il Belgio al settimo”.
da: Analisi Difesa, "Giorgetti: l’economia europea perdente certo della guerra in Ucraina: 5 Settembre 2023
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SOTTO TIRO
Trasmissione del 18 settembre 2023
Macrone, il nostro nemico franco di nome e di fatto, il cui fedele scherano Darmanin manda sempre più gendarmi a respingere, verso l’Italia, quegli stessi migranti illegali che, in Italia, le ong leuropee provvedono quotidianamente a sbarcare.
Naturalmente, con l’entusiasta collaborazione del partito francese in Italia. Basti citare Benifei (“l’esperienza libica dovrebbe averci insegnato come accordi bilaterali di questo tipo siano drammaticamente fallimentari … dittatori o aspiranti tali”), Majorino (“la Tunisia, con cui fa accordi il governo Meloni, non è più rassicurante della Libia”), La Repubblica (“presupposti razzisti … deriva autoritaria”).
Un delirio solo apparentemente contrastato dal Ppe in aula, mentre il suo capogruppo Manfred Weber si spingeva a Tunisi a porre nuove condizioni: non più soltanto sottomettersi al FMI, ma pure riforme costituzionali addirittura. Il che significa rinviare i fondi all’anno del mai, proprio mentre lo stesso Weber pretendeva da Saied “il rispetto del memorandum d’intesa”. In modo che capiscano anche i sassi: Berlino lascia fare a Meloni ciò che vuole, ma solo a condizione che faccia da sola.
Coerentemente, la tedeschissima Von der Leyen ha difeso la propria benedizione a Tunisi ancora ieri, pronunciando il discorso sullo Stato dell’Unione: “abbiamo firmato con la Tunisia un partenariato che comporta vantaggi reciproci”. Ma la ritirerà, non appena la benedizione finanziariamente gratuita accennerà a costare a Bruxelles anche solo un vero soldo bucato.
Il piano del partito francese
Più tempo Meloni continuerà a sprecare alla caccia di soldi leuropei che non arriveranno, più ne concederà ai nostri nemici per continuare a farci del male. E già si scommette su quanti africani a Lampedusa basteranno a far cadere Meloni: 200.000? 500.000?
Parigi potrà finalmente replicare il golpe del 2011. Questa volta, con Gentiloni premier, appoggiato dalla vecchia maggioranza Draghi.
Ovviamente di salvezza nazionale, come lasciano trasparire le recenti lodi di Gentiloni a Minniti, per il lavoro svolto quando era suo ministro degli interni. Il che potrebbe apparire sorprendente visto che, a luglio, lo stesso Minniti lodava gli accordi di Meloni con Tunisi: “è un grande passo verso la stabilizzazione della Tunisia, una scelta politica che non ha guardato al Fondo Monetario che ha severe misure di taglio di spesa sociale cui subordina gli aiuti a Saied”.
Ma la verità è che, della questione migratoria, Parigi se ne frega: interessa solo come strumento per destabilizzare i governi italiani ad essa non sottomessi.
Di tutto ciò, Meloni si rende conto. Lo dimostra l’attacco diretto a Gentiloni, pure ben pensato in quanto relativo ad una vicenda (Ita–Lufthansa) nella quale Bruxelles ha palesemente torto marcio.
Cosa le manca? Comprendere che deve fare da sola pure coi soldi: i soldi per Tunisi li deve cacciare la Repubblica Italiana. Profittando della benedizione politica concessa a Tunisi dalla Von der Leyen: benedizione che è l’unico risultato degli accordi di luglio e che è necessario non sprecare.
I soldi per Tunisi li deve cacciare la Repubblica Italiana. Fosse pure tutta la somma di 1,6 miliardi di euro, anche se non lo sarà mai: mezzo miliardo basterebbe ad attivare altre contribuzioni, da Arabia Saudita e chissà chi altro. Meglio se senza il FMI. Insomma, una coalition of the willing alla quale dare un esemplarmente sostanzioso contributo.
Per Roma, in ogni caso, sarebbero molti meno soldi di quelli che oggi sciupa per mantenere quelli che sbarcano. E sarebbe pure un bel modo per introdurre praticamente la mitica riforma del Patto di Stabilità e Crescita alla quale Roma anela, la mitica golden rule: Bruxelles avrebbe difficoltà ad iniziare una procedura di infrazione di bilancio contro l’Italia, per un disavanzo di spesa a favore di una Tunisia testé dichiarata partner strategico.
Fare presto
Ma Meloni deve fare in fretta, prima che la campagna anti-tunisina finisca per oscurare la benedizione concessa da Von der Leyen a Tunisi. E prima che il suo proprio elettorato in Italia si ribelli, rischio ad ogni sbarco più concreto.
Ciò di cui Meloni sembra non rendersi conto. Come dimostra una inquietante risposta che troviamo nel citato libro-intervista a Sallusti: “prima che finisca questa avventura, avremo messo un freno al problema dell’immigrazione illegale di massa”. Cioè, tradotto letteralmente, gli sbarchi di massa continueranno sino a … prima del settembre 2027?! Tempo più che sufficiente, perché a Chigi si reinsedi Gentiloni.
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SOTTO TIRO ( ESTRATTO)
Trasmissione del 18 settembre 2023
Estratto: "La repressione è il nostro vaccino" (cit.)
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AU REVOIR • In ricordo di Sebastien Cochard
Trasmissione del 4 settembre 2023
"J’ai toujours eu une sorte de passion pour l’engagement public. Cela peut sembler assez commun – et tous les candidats doivent dire quelque chose comme cela. Mais il est vrai que j’ai toujours eu cette fascination pour le service public qui a notamment occupé la première partie de ma carrière. Peut-être même un peu plus que le service public, une idée de faire « service pour le pays », sans aucun doute hérité des lectures de l’âge tendre ou tout du moins hérité de l’héritage familial puisque mes deux parents étaient pupilles de la nation. Si je dis « donner son corps à la France », cela sonne un peu comme le maréchal Pétain mais pourtant c’est quelque part un peu le concept.
*Il s’agit du vol 8969 d’Air France dont le détournement, la prise d’otages et l’assaut eurent lieu entre les 24 et 26 décembre 1994.
Cela se voit dans tout mon parcours, et en particulier dans ma première affectation diplomatique puisque j’étais conseiller financier à Alger durant les années très difficiles de la seconde guerre civile, à l’époque du « qui tue qui ». A l’époque donc il y avait des grands massacres dans les campagnes, des attentats en permanence à Alger. Quelques mois avant mon arrivée une demi-douzaine de diplomates français avaient été assassinés dans une attaque terroriste dans une résidence qui s’appelait « Ain Allah » [le 3 août 1994, NDLR]. C’était aussi peu de temps après le détournement de l’avion d’Air France dont l’assaut avait été donné à Marseille par le GIGN*.
Voyez mon engagement pour le pays : je n’ai pas servi sous les drapeaux en tant que militaire mais il y avait quelque chose de ce type quand j’ai candidaté et que j’ai reçu cette affectation à l’ambassade de France à Alger tout début 1997 ! Puis, ayant quitté le service public après une douzaine d’années, j’ai travaillé à BNP Baribas en tant que délégué aux affaires européennes auprès de l’Union Européenne puis représentant auprès des gouvernements en Asie-Pacifique. Là encore, j’ai toujours eu ce souci de défendre plus particulièrement les positions de la banque qui étaient des positions conjointes avec le gouvernement français. De manière très naturelle d’ailleurs, le Trésor m’a affecté à plusieurs reprises – alors même que j’étais employé de BNP Paribas – à des délégations gouvernementales sur des sujets un peu techniques sur lesquels j’avais une expertise. Et cela avait une certaine efficacité.
Ainsi, même si c’est mon premier engagement politique, je ne vois pas ça comme un changement de nature mais plutôt comme une continuation. Lorsque Marine Le Pen m’a appelé pour me proposer d’être le candidat du FN sur la circonscription j’ai tout de suite accepté tout en sachant que c’était comme on dit « sortir du bois » politiquement. Mais il me semblait que c’était un bon moment pour défendre à la fois des valeurs, s’engager au nom du pays, et le faire dans une région du monde que je connais bien et qui m’intéresse particulièrement.
Justement, la question de la sortie de l’Euro revient-elle souvent lorsque vous allez à la rencontre des électeurs français d’Asie ?
"Absolument. C’est la 1ère question que l’on me pose. Enfin, comme vous le savez, il n’est pas question ici de faire la sortie des marchés. Donc les gens que nous rencontrons sont soit des militants, soit des sympathisants soit des personnes qui hésitent et sont désireuses d’entendre le candidat. Et pour toutes ces personnes le premier sujet dont ils veulent parler, c’est l’Euro. C’est la sortie de l’Euro. Que ce soit des populations de retraités en Thaïlande par exemple, ou au Cambodge. Ce sont des Français qui ont des petites retraites et qui s’expatrient pour que le pouvoir d’achat de leur retraite leur donne accès à des services plus importants. Pour ces retraités, le concept d’une sortie de l’Euro avec une dépréciation de 30 % de la nouvelle monnaie, c’était absolument terrifiant. Idem pour les cadres à Singapour, à Hong Kong ou Tokyo qui travaillent dans le secteur financier. L’idée de dire dans une campagne électorale : « on sort si on veut parce que la France est un grand pays et qu’elle fait ce qu’elle veut », cette idée ne semblait pas très raisonnable à ces personnes non plus. C’est donc l’un des sujets sur lesquels je me fait fort de les rassurer."
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Caro carburanti, il commento di Sergio Giraldo (La Verità, Startmag)
Video del 25 agosto 2023
Sergio analizza le cause dell'aumento del prezzo dei carburanti.
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DI NUOVO?
Trasmissione del 14 agosto 2023
"A livello globale, negli ultimi 28 giorni sono stati segnalati oltre un milione di nuovi casi di COVID-19 e oltre 3100 decessi (da 3 a 30 luglio 2023) pari al +7%. Mentre cinque regioni dell'OMS hanno segnalato diminuzioni nel numero di entrambi i casi e morti, la regione del Pacifico occidentale ha riportato un aumento del numero di casi. Al 30 luglio 2023, sono stati registrati oltre 768 milioni di casi confermati e oltre 6,9 milioni di decessi riportato a livello globale.
Sebbene l'emergenza sanitaria pubblica di rilevanza internazionale per il COVID-19 sia stata dichiarata conclusa il 5 maggio 2023, COVID-19 per l’Oms “rimane una grave minaccia”. L'OMS continua a “sollecitare gli Stati membri a mantenere, non a smantellare, il loro infrastruttura COVID. È fondamentale sostenere tempestivamente la sorveglianza e la segnalazione, il monitoraggio delle varianti fornitura di assistenza clinica, somministrazione di richiami vaccinali a gruppi ad alto rischio, miglioramenti nella ventilazione e comunicazione regolare”.
La nuova variante di Sars-CoV-2 EG.5, l'ultima inserita dall'Organizzazione mondiale della sanità nella lista dei mutanti sotto monitoraggio (Vum), segnalata finora in 45 Paesi, cresce ancora e fa registrare una prevalenza dell'11,6% a livello globale nell'ultimo bollettino dell'Oms sull'andamento di Covid-19. Nella settimana epidemiologica numero 28 (10-16 luglio), EG.5 - 'figlia' di XBB.1.9.2, che rispetto alla 'madre' presenta una mutazione aggiuntiva (F456L) nella proteina Spike - raggiunge Kraken (XBB.1.5, in calo costante, dal 13% all'11,6% dalla settimana 27 alla 28) e diventa la seconda la seconda variante più diffusa dopo Arturo (XBB.1.16), che scende al 18,4% rispetto al 21,7% della settimana 27.
Sotto la lente dell'Oms - si ricorda nel report - ci sono oggi 2 varianti di interesse o Voi (Kraken e Arturo) e 7 varianti sotto monitoraggio o Vum: oltre a EG.5, BA.2.75 (Centaurus), CH.1.1 (Orthrus), XBB (Gryphon), XBB.1.9.1 (Hyperion), XBB.1.9.2 e XBB.2.3 (Acrux). Tra queste ultime, EG.5 è l'unica in crescita (dal 6,2% della settimana 24, quella compresa fra il 12 e il 18 giugno, all'11,2% della settimana 27 fino appunto all'11,6% della 28); calano Centaurus e Hyperion, mentre le altre mostrano un trend stabile. Quanto alle Voi, nonostante un trend discendente Arturo resta la più diffusa, riportata da 100 Paesi e particolarmente presente nel Pacifico Occidentale (prevalenza del 15%) e nel Sudest asiatico (36%). Kraken, notificata da 120 Paesi, benché in ritirata rimane invece la variante prevalente nelle Americhe (25%) e in Europa (20%)."
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