La mia RiEvoluzione - Parte 3

3 years ago
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Al fine di assicurare dei loschi profitti a qualche personaggio malefico, questo governo ha gettato il paese in una guerra imbecille che in nessun caso può essere vantaggiosa per il popolo. Centinaia, migliaia di vite sono state sacrificate, i prodotti del lavoro colossale di tutto un popolo sono perduti, infine, la gloria stessa dell’Italia, per quelli che ne sono fieri, è annientata; ma il peggio è che i responsabili di tutti questi crimini sono lungi dal riconoscerli, facendo ricadere su altri le responsabilità e, conservando i loro posti, essi sono tutti disposti a lanciare il paese in una più grande disgrazia.
La rivoluzione inizia in modo del tutto naturale, quando la società abbandona una certa concezione della vita sulla quale continua a prosperare l’edificio sociale esistente, o detto in altro modo, quando la contraddizione tra come è la vita e quella che deve o potrebbe essere diventa così netta per la maggioranza degli uomini, che questi sentono già l’impossibilità di continuare a vivere nelle antiche condizioni. Questa rivoluzione scoppia prima nella nazione che possiede il più grande numero di individui coscienti di questa contraddizione. Quanto ai mezzi impiegati dalla rivoluzione, essi dipendono dal fine che essa persegue.
Non facciamo ripetere la storia. La rivoluzione con la violenza ha fatto il suo tempo. Tutto ciò che essa ha potuto offrire agli uomini è stato donato, e nello stesso tempo essa ha mostrato quello che non può dare. Ora, questa libertà vera può essere realizzata solamente con il rifiuto di sottomettersi a qualsiasi autorità, senza ricorrere alle barricate, ad assassini e nuove istituzioni ottenute e sostenute con il ricorso alla violenza. L’ordine sociale fondato sulla violenza è penetrato così a fondo nei costumi e nelle istituzioni che tutti gli uomini, pur riconoscendo i benefici della legge del mutuo soccorso, continuano a vivere sotto leggi repressive che essi giustificano con la necessità di punire i malvagi. A questi ultimi appare impossibile la vita sociale senza castigare il male con il male. Gli uni assumono il dovere di mantenere l’ordine pubblico e di correggere i criminali facendo applicare le leggi repressive; essi comandano, gli altri obbediscono. Ma i signori vengono presto depravati dall’onnipotenza di cui godono, e una volta corrotti, invece di correggere i costumi li contaminano con la loro sporcizia; gli amministrati a loro volta si corrompono per aver partecipato a queste violenze, grazie al loro spirito d’imitazione e per la loro sottomissione servile.
Non si può sopprimere il male con il male, e l’unico mezzo per diminuire la violenza è di non servirsene. Nel momento in cui l’uomo entra in lotta contro la violenza, egli aliena da se stesso la sua libertà. In effetti, ammettendo l’utilizzo della forza brutale, egli ammette nello stesso modo la legittimità dell’impiego contro di lui.
“E non abbiate paura di quelli che uccidono il corpo, ma non hanno il potere di uccidere l’anima; abbiate paura piuttosto di colui che ha il potere di far perire nella Geènna e l’anima e il corpo” (Matteo 10,28).
Coloro che hanno accettato questa dottrina nel suo significato vero, e si sono sottomessi alla legge suprema, sono liberi da qualsiasi sottomissione. Essi hanno sofferto con rassegnazione le violenze degli uomini, ma non hanno obbedito a loro con atti contrari alla legge suprema. Così avevano agito i primi cristiani quando erano poco numerosi tra i popoli pagani. Essi rifiutarono di obbedire ai governi negli atti contrari alla legge suprema che chiamavano la legge di Dio; essi furono perseguitati, puniti per questa resistenza, ma continuando a non sottomettersi restarono liberi. Ma nell’istante in cui dei popoli interi, che vivevano sotto un regime sostenuto dalla violenza, si riconobbero cristiani semplicemente perché battezzati, la loro attitudine nei confronti delle autorità cambiò completamente. Aiutati dal clero, i governi suggerirono ai loro amministrati che gli assassini e le altre violenze potevano essere commessi quando fossero serviti alla giusta vendetta e alla difesa dei deboli e degli oppressi. Poi, obbligandoli a prestare giuramento alle autorità, cioè a giurare davanti a Dio che essi avrebbero realizzato tutto quello che a loro sarebbe stato ordinato, i governi condussero i loro soggetti che si consideravano cristiani a non credere più, difendendo l’impiego della violenza e, naturalmente, ad ammettere anche quella di cui essi erano vittime. Si giunge dunque al punto che invece di restare liberi, come l’ha voluto Cristo, di soffrire qualsiasi violenza, come era avvenuto all’inizio, i cristiani compirono il loro dovere in un senso diametralmente opposto a quello di essere sottomessi alla sola volontà di Dio. Essi considerarono come vergognoso d’essere esposti alle violenze senza provare a lottare contro di esse, e come loro massimo dovere di obbedire ai governanti. Fu così che essi diventarono schiavi. Cresciuti in queste condizioni, essi non ebbero nessuna vergogna della loro schiavitù; al contrario, essi furono fieri della potenza dei loro governanti, come gli schiavi sempre fieri della grandezza dei loro signori.
In epoca più recente è sorto ancora un altro inganno che ha riconfermato i popoli cristiani nella loro condizione servile. Ed esso si manifesta mediante un complesso sistema di elezione, dove degli uomini eletti da un dato popolo, divengono delegati entro le varie istituzioni rappresentative, entro le quali eleggeranno a loro volta, e senza alcun criterio, dei candidati sconosciuti, o i propri rappresentanti secondo personali interessi. Il popolo stesso sarà allora una delle cause del potere del governo, e pertanto, obbedendo a esso, crederà in effetti di obbedire a se medesimo, supponendo di vivere quindi in un regime di libertà.
Chiunque avrebbe potuto accorgersi che tutto ciò non era altro che un imbroglio, sia in teoria sia in pratica, giacché anche nel più democratico dei sistemi e anche laddove vige il suffragio universale, il popolo non può comunque esprimere la propria volontà. E non può esprimerla, in primo luogo, perché una simile volontà collettiva di tutto un popolo, di molti milioni di persone, non esiste e non può esistere; in secondo luogo, perché, anche se esistesse una tale volontà collettiva, una maggioranza di voti non potrebbe comunque esprimerla pienamente in alcun modo. Questo inganno – anche a tacere sul fatto che gli uomini eletti in tal modo, partecipando al governo del loro paese, approvano leggi e governano il popolo non in vista di ciò che è bene per esso, ma lasciandosi guidare per lo più, unicamente, dall’intento di mantenere salda la propria posizione di privilegio e il proprio potere frammezzo alle lotte dei vari partiti, e per tacere altresì della depravazione che questo inganno diffonde tra il popolo mediante le menzogne, lo stordimento e le corruzioni che sono caratteristica costante dei periodi elettorali – è particolarmente dannoso a cagione di quella schiavitù autocompiaciuta in cui esso riduce gli uomini che vi incorrono.
Gli uomini che si imbattono in questa trappola si immaginano davvero di obbedire a se stessi ogni volta che ascoltano il governo, e perciò non osano più disobbedire ai provvedimenti del potere degli uomini, anche quando tali provvedimenti sono contrari non soltanto ai loro gusti personali, al loro vantaggio, o ai loro desideri, ma altresì alla legge suprema e alla loro stessa coscienza. E invece, gli atti e i provvedimenti del governo di quei popoli che presumono di autogovernarsi non sono che il risultato delle complesse lotte tra i partiti, degli intrighi, della sete di potere e dell’interesse personale di questi e quegli individui, e dipendono tanto poco dalla volontà e dai desideri del popolo tutto, quanto gli stessi atti e i provvedimenti dei governi più dispotici. Quei popoli sono come uomini rinchiusi in carcere che si immaginano di esseri liberi perché viene concesso loro il diritto di votare per l’elezione dei carcerieri delegati all’amministrazione interna dello stesso carcere. Un membro di uno stato, anche il più dispotico, può essere interamente libero, nonostante possa soffrire le più crudeli violenze da parte del governo che egli non ha certo stabilito. Al contrario, gli uomini degli stati costituzionali, immaginandosi di essere liberi, proprio in seguito a tale loro sforzo di immaginazione che fa credere a loro di partecipare al potere, finiscono per non saper nemmeno più in cosa consista l’autentica libertà. Questi individui, mentre credono di liberare se stessi, si condannano in realtà a divenire sempre più profondamente schiavi dei loro governi. Nulla mostra più chiaramente l’asservimento progressivo dei popoli come l’estensione e il successo delle teorie collettiviste, che non tendono a nient’altro che all’annichilimento completo dell’individuo.

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