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Gli Stati Uniti puntano a destabilizzare l’Eurasia | Gianandrea Gaiani
Il collasso della Siria baathista ha prevedibilmente aperto le porte al caos. Nelle aree settentrionali, i gruppi jihadisti appoggiati dalla Turchia combattono le forze curde sostenute dagli Stati Uniti, mentre Israele sta ricavandosi un’ampia zona cuscinetto nel Golan siriano, dopo aver occupato il Monte Hermon e sferrato una devastante campagna di bombardamenti aerei che ha di fatto demilitarizzato la Siria. Sul futuro delle basi russe vige ancora grande incertezza, anche se «Bloomberg» ha parlato della disponibilità dei jihadisti a preservare gli accordi siglati con il precedente governo. Sembrerebbe che i russi stiano orientandosi verso la costruzione di una base a Bengasi, nella Cirenaica controllata dal generale Haftar, procedendo allo stesso tempo a una riorganizzazione della propria presenza in Siria implicante l’abbandono di una serie di strutture minori disseminate in varie zone del Paese e il rimpatrio di una enorme quantità di mezzi militari. Sul teatro ucraino, intanto, le forze armate russe continuano ad avanzare, mentre un attentato esplosivo organizzato – pare – da un uzbeko assoldato dai servizi di sicurezza di Kiev ha provocato l’uccisione a Mosca di Igor Kirillov, tenente generale russo a capo dell’unità di protezione nucleare, radiologica, chimica e biologica che all’inizio del conflitto aveva denunciato «attività militari-biologiche del Pentagono in Ucraina». L’operazione è stata giudicata come legittima dal «Times», ma condannata dal generale Keith Kellogg, che in qualità di inviato speciale per il conflitto russo-ucraino da Donald Trump ha dichiarato che l’atto costituisce una violazione delle regole di guerra e una mossa controproducente. Parallelamente, il segretario generale della Nato Mark Rutte ha dichiarato che i russi «ci stanno mettendo alla prova e il resto del mondo sta guardando. Non siamo in guerra, ma di certo non siamo neanche in pace. Voglio essere chiaro: non c’è una minaccia militare imminente per i nostri alleati strategici, perché la Nato si è trasformata per tenerci al sicuro […]. La nostra deterrenza è buona per ora ma è il domani che mi preoccupa. È ora di passare a una mentalità da tempo di guerra e di dare una spinta alla nostra difesa, produzione e spesa militare». Anche se la spesa militare è incrementata, ha chiarito Rutte, occorre portare la soglia minima al di sopra del 2% del Pil «per assicurare la pace». Vi sono inoltre problemi, ha proseguito l’ex premier olandese, per quanto concerne «il numero di soldati attualmente disponibili». In caso di mancata attuazione dei provvedimenti necessari, ha affermato Rutte, «tra quattro o cinque anni la nostra capacità di deterrenza sarà indebolita a tal punto che i russi potrebbero iniziare a pensare di attaccarci». Sul campo di battaglia, le forze armate russe continuano la loro avanzata, mentre vanno intensificandosi le pressioni dell’amministrazione Biden su Kiev affinché proceda all’abbassamento dell’età minima per i reclutamenti nelle forze armate ucraine da 25 a 18 anni. La situazione sembra aver raggiunto il punto critico per l’esercito ucraino, al punto da indurre il presidente Zelen’skyj a riconoscere che «i territori del Donbass e della Crimea sono oggi controllati dai russi. Non abbiamo la forza di riconquistarli. Possiamo contare soltanto sulla pressione diplomatica della comunità internazionale per costringere Putin al tavolo dei negoziati». Negoziati di cui il presidente eletto Donald Trump continua a sottolineare la necessità, proponendo piani di pace che molto difficilmente riscuoteranno l’approvazione di Mosca. Secondo l’alto rappresentante per la politica estera dell’Unione Europea Kaja Kallas, invece, «le capitali occidentali dovrebbero smettere di suggerire colloqui di pace a Zelen’skyj e assicurarsi invece che le loro promesse di garanzie di sicurezza a Kiev non siano vuote». Durante il suo tradizionale discorso di fine anno, il presidente Putin ha invece chiarito che il Cremlino è pronto a negoziare con l’Ucraina ma soltanto con rappresentanti legittimi del governo ucraino, oltre che sulla base dell’accordo di Istanbul e della situazione sul terreno. Ne parliamo assieme a Gianandrea Gaiani, giornalista, saggista e direttore della rivista telematica «Analisi Difesa».
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