IL GIORNO DELLA RIVOLUZIONE

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IL GIORNO DELLA RIVOLUZIONE di Leonardo Celi
Chiunque di noi ricorda con nettezza almeno tre o quattro immagini di quel che accadde a Bucarest tra il 21 e il 22 dicembre del 1989: lo sconcerto sul volto invecchiato dal freddo di Ceaucescu, i fiumi di gente comune, dai vestiti poveri, dai denti malridotti, dai volti increduli e trascurati, marciare entusiasti per le strade stranamente non innevate della capitale rumena, sfidando polizia, esercito e carrarmati. E poi gli scontri di piazza, gli annunci televisivi del Fronte di Salvezza Nazionale, la fuga, la cattura e la fucilazione dei coniugi Ceaucescu, la caccia agli ultimi "securisti" rimasti come cecchini sui tetti dei palazzi.
Meno gente ricorda invece il periodo della protesta permanente degli studenti, durato oltre due mesi, la "normalizzazione" operata dall'ex-dirigente comunista Iliescu, o le orde di minatori armati di asce e di bastoni che subito dopo le prime elezioni "democratiche" dal dopoguerra fanno piazza pulita del "ciarpame protestatario" studentesco. Quasi nessuno sa, o comunque non se ne occupa più, di quello che è accaduto in seguito: l'esplosione del mercato nero, la disperazione trasformata in arte di arrangiarsi, l'acuirsi paradossale della povertà e conseguentemente di delinquenza e violenza, fatti per i quali impera il sentito dire, ma di cui non si hanno immagini dirette da almeno un paio d'anni.
Il documentario di Leonardo Celi, dopo uno splendido e originale prologo sulle origini culturali del popolo romeno negli usi e costumi delle campagne rimasti immutati nei secoli, attraversa "dall'interno" ognuna di queste tragiche fasi della storia romena, che hanno inizio nel fatidico 22 dicembre, il "giorno della rivoluzione", il primo (e forse unico) giorno di libertà di un popolo eternamente colonizzato, prima dai Romani, poi dall'impero Bizantino, dai Turchi, dall'impero Austro-Ungarico e infine dal socialismo reale Sovietico. Lo fa attraverso gli occhi di uno studente, Marian Mierla, che si è trovato a vivere un'esperienza che ha dell'incredibile: essere chiamato dalla piazza, in cui sta manifestando insieme a decine di migliaia di altre persone di ogni età, a scrivere la nuova costituzione nel governo provvisorio. E dal racconto concitato di Marian, accompagnato da immagini per lo più inedite in Italia, si delinea una sensazione di irrealtà, di inesplicabilità degli eventi, come se un caos in qualche modo ordinato avesse attraversato, inaspettatamente, un popolo umiliato e stanco dandogli la forza di vivere, per un giorno, la parte di protagonista della Storia. Ma quella inesplicabilità, man mano che il racconto mette a fuoco i giorni, le settimane e i mesi successivi alla rivolta di piazza, diviene sensazione terribile di essere ancora una volta stati usati, usati dalla nuova classe politica emergente, per un semplice avvicendamento al vertice.
Pian piano tutto assume il volto sporco, stanco, squallido della vita alla giornata, il popolo acclama i nuovi leader, tutto rientra nei ranghi senza che nulla, nel nuovo assetto politico del paese, sia sostanzialmente cambiato. Restano solo il mercato nero, il commercio di valuta o l'emigrazione (immagini che Celi ha girato un'anno dopo la rivoluzione) come ultimi approdi di chi vuole cambiare la propria vita, per chi ha creduto nell'illusione del "giorno della rivoluzione", giorno in cui tutto sembrava possibile. SERAFINO MURRI

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