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La Corea del Sud nel caos | Federico Giuliani
Lo scorso 3 dicembre, il presidente sudcoreano Yoon Suk-yeol ha proclamato la legge marziale, imponendo contestualmente il controllo dei mezzi di comunicazione; la sospensione delle attività dell’Assemblea Nazionale, dei consigli locali e delle associazioni politiche; il divieto di organizzare scioperi e manifestazioni pubbliche. «Sto dichiarando la legge marziale – ha spiegato Yoon – per proteggere l’ordine costituzionale di una Corea del Sud libera dalle forze comuniste, ed eliminare le forze spudoratamente filo-nordcoreane e anti-statali che minacciano la libertà e la felicità del nostro popolo. Ricostruirò e difenderò la Corea del Sud dalla rovina e dalla disperazione attraverso la legge marziale». La Costituzione della Repubblica di Corea conferisce al presidente l’autorità di dichiarare la legge marziale in caso di conflitto armato o altre emergenze nazionali ritenute di gravità equivalente. L’iniziativa di Yoon, i cui livelli di popolarità erano crollati nel corso dei mesi a un modesto 25%, è stata neutralizzata dao membri del Parlamento, che sfidando le intimazioni delle forze armate che avevano annunciato la propria fedeltà al presidente hanno disposto l’annullamento della legge marziale. La presa di posizione dell’Assemblea Nazionale, accettata dall’esercito e quindi dallo stesso Yoon, ha spianato la strada all’avvio di una procedura di impeachment. I sei partiti d’opposizione che l’hanno predisposta contestano al presidente e ad alcuni suoi ministri di aver perpetrato un tentativo di colpo di Stato che avrebbe potuto spingere il Paese verso un conflitto aperto con la Corea del Nord. Il pronunciamento del Parlamento è atteso tra oggi e domani. In caso di destituzione, Yoon verrà privato dei poteri fintantoché la Corte Costituzionale – a ranghi ridotti per effetto del pensionamento di tre suoi componenti – non assumerà una decisione in proposito. Nel frattempo, decine di migliaia di sudcoreani si sono riversati nelle piazze per invocare le dimissioni di Yoon. Le turbolenze geopolitiche hanno insomma raggiunto anche la Corea del Sud, vale a dire un Paese che rappresenta al contempo un elemento chiave del dispositivo militare allestito da Washington in Asia orientale tra gli anni ’50 e ’60 e presidiato da circa 30.000 truppe statunitensi, e una forza economica di primissimo piano le cui prospettive di crescita dipendono sempre più dall’instaurazione di un rapporto strutturalmente collaborativo con la Cina. Ne parliamo assieme a Federico Giuliani, giornalista specializzato in vicende asiatiche e saggista.
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