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Germania anno zero | Claudio Celani
Nei giorni scorsi, il cancelliere tedesco Olaf Scholz ha rimosso il liberale Christian Lindner dall’incarico di ministro delle Finanze, per ragioni che «Der Spiegel» riconduce a divergenze insanabili in materia di bilancio, economia e finanza pubblica. Nello specifico, Scholz avrebbe puntato su una politica mirante a sospendere provvisoriamente le misure atte a contenere l’indebitamento, imbattendosi nella contrarietà di Lindner. Per il cancelliere, la misura era ormai colma poiché «troppo spesso il ministro Lindner ha usato tattiche politiche che denotano una mentalità ristretta. Troppo spesso ha tradito la mia fiducia. Non vi è alcuna base per portare avanti qualsiasi cooperazione. Un serio lavoro di governo non è possibile in questo modo». Dal canto suo, Lindner ha lamentato una costante tensione con il cancelliere, al quale avrebbe vanamente proposto un enorme programma di sostegno all’Ucraina, implicante tra le altre cose la fornitura dei missili Taurus. Per l’ex ministro delle Finanze, la rottura sarebbe motivata soprattutto dal fatto che Scholz ha «soltanto usato l’Ucraina». La cosiddetta “coalizione semaforo” è quindi al capolinea, con Scholz che ha predisposto un voto di fiducia verso la metà del gennaio 2025 incassando aspre critiche da parte di tutti i partiti dell’opposizione, Bundnis Sahra Wagenknecht in primis. Nel frattempo, la produzione industriale tedesca ha registrato una caduta del 2,5% su base mensile con riferimento al settembre 2024. Su base annua, il crollo è dell’ordine del 4,6%. L’istituto Ifo di Monaco, dal canto suo, ha rivelato che l’economia tedesca sta accusando il peggior crollo degli ordini mai registrato dalla crisi finanziaria del 2009, con il 41,5% delle aziende che ha segnalato una mancanza di ordini a ottobre, a fronte del 39,4% registrato a luglio. «La mancanza di ordinativi continua a ostacolare lo sviluppo economico in Germania. Quasi nessun settore è stato risparmiato», ha dichiarato all’Ifo l’economista Klaus Wohlrabe. I dati indicano che il 47,7% delle aziende manifatturiere ha riscontrato una penuria di ordini, mentre per quanto riguarda il settore commerciale si parla di un preoccupante 65,5% – per i venditori al dettaglio, il dato è del 56,4%. La Federazione delle Industrie Tedesche (Bdi), per di più, ha affermato che la Germania dipende fortemente da Paesi come la Cina per quanto concerne l’approvvigionamento di risorse critiche come il litio. Una sospensione delle esportazioni cinesi di litio potrebbe costare all’economia tedesca circa 115 miliardi di euro di entrate, che rappresentano circa il 15% della produzione industriale, secondo i calcoli dell’associazione. La Federazione ha inoltre sottolineato che l’industria automobilistica tedesca risulta particolarmente colpita, dal momento che il litio rappresenta un elemento indispensabile per la produzione di veicoli elettrici, ma il discorso va in realtà allargato a ben 23 materie prime critiche, tra cui le terre rare che sono in gran parte importate dalla Cina. L’associazione pone l’accento sulla necessità di alleggerire il vincolo di dipendenza dalla Cina attraverso la diversificazione delle fonti di approvvigionamento, oltre che mediante l’estrazione e la lavorazione a livello domestico. Il tutto mentre Donald Trump si appresta a insediarsi alla Casa Bianca, dopo aver assimilato pubblicamente i Paesi dell’Unione Europea alla Cina come principali elementi di distorsione del commercio internazionale. Parliamo di tutto questo assieme a Claudio Celani, giornalista residente da molto tempo in Germania specializzato in questioni economiche e geopolitiche. Collabora con lo Schiller Institute (https://schillerinstitute.com/) ed è in forza da decenni presso l’«Executive Intelligence Review» (https://eir.news/).
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