La Storia Siamo Noi | Il Golpe Borghese: Storia di un'inchiesta

6 months ago
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Il 7 dicembre 1970, in una notte flagellata dalla pioggia inizia l'operazione "Tora Tora". Siamo a Roma, e Tora Tora è un tentativo di colpo di Stato. A dirigerlo, il principe Junio Valerio Borghese (1906-1974), dalle stanze della sede romana del Fronte Nazionale, il movimento politico di estrema destra che lui stesso ha fondato due anni prima. Il complotto è stato pianificato nei minimi dettagli per dare l'assalto ai centri nevralgici del Paese.

I bersagli principali sono il ministero della Difesa, il ministero dell'Interno, la Rai, le centrali telefoniche e quelle telegrafiche. Obiettivo: scatenare il caos nel Paese colpendo il cuore dello Stato; il piano prevede infatti anche il rapimento del presidente della Repubblica Giuseppe Saragat e l'assassinio del capo della Polizia Angelo Vicari. Tra i congiurati ci sono figure affiliate ai movimenti neofascisti e membri di spicco dell'Esercito e del Corpo forestale. Il comando operativo è in un cantiere edile del quartiere di Montesacro, ma un altro gruppo aspetta ordini nella palestra dell'Associazione paracadutisti al comando dell'ex tenente Sandro Saccucci. Un commando si introduce nell'armeria del Viminale impossessandosi di armi e mitragliatrici.

Nel frattempo il generale dell'Aeronautica Giuseppe Casero e il colonnello Giuseppe Lo Vecchio hanno preso posizione al ministero della Difesa e una colonna di automezzi con a bordo 200 forestali armati è arrivata vicino al centro di produzione Rai di via Teulada. Anni dopo si verrà a sapere che per assassinare Saragat e Vicari erano arrivati apposta dalla Sicilia killer di Cosa Nostra. Il golpe era ormai in fase avanzata quando lo stesso Borghese fermò tutto. Le armi restarono al Viminale, la Forestale tornò a Cittaducale – da dov'era partita – e i paracadutisti rientrarono in palestra. Perché il contrordine? Qualcuno ipotizzò che fosse stata la pioggia scrosciante di quella notte a far saltare i piani. Le vere motivazioni furono politiche. Borghese scappò all'estero per evitare l'arresto e dalla tv svizzera rivendicò il progetto mancato.

Nell'immediato gli italiani rimasero all'oscuro del tentato golpe. L'8 dicembre il governo e i poteri dello Stato si comportarono come se niente fosse accaduto. L'ordine fu di non parlarne o di minimizzare. Si scoprì tutto tre mesi dopo, quando il quotidiano Paese Sera il 17 marzo 1971 uscì con il titolo: Scoperto piano di estrema destra. Il giorno dopo, il sostituto procuratore di Roma Claudio Vitalone firmò i mandati d'arresto per tentativo di insurrezione armata contro lo Stato nei confronti degli esponenti della destra extraparlamentare Mario Rosa e Sandro Saccucci, dell'affarista Giovanni De Rosa e dell'imprenditore edile Remo Orlandini. Il 19 marzo viene raggiunto da un mandato anche Borghese, che si era rifugiato nella Spagna franchista.

La Procura fu poi costretta ad archiviare l'indagine per mancanza di prove. L'istruttoria venne riaperta nel 1974, quando il ministro della Difesa Giulio Andreotti consegnò un rapporto del servizio segreto militare che gettava nuova luce sul piano eversivo. Il processo fu istituito solo tre anni più tardi e nel 1984 la Corte d'Assise d'appello assolse da tutte le accuse un'ottantina di imputati tra generali, colonnelli e neofascisti. La Cassazione confermò le assoluzioni sostenendo che il tentativo eversivo era riconducibile a un "conciliabolo di quattro o cinque sessantenni", e spiegò persino che la presenza di una colonna di mezzi militari e quasi 200 uomini della Forestale appostati davanti alla Rai era stata una coincidenza.

«Oggi possiamo sostenere con certezza il contrario», sostiene Tonietto. «Non fu quel gesto da operetta descritto dalla magistratura bensì un evento serio che, al pari di successivi, come la Rosa dei venti e il tentato golpe di Edgardo Sogno, va inserito nella "strategia della tensione" di quegli anni. Al golpe Borghese non parteciparono solo i gruppi di estrema destra intenzionati a prendere il potere, ma anche esponenti di alto livello dell'Esercito e dei servizi segreti».

In seguito sono emersi inquietanti retroscena. Le rivelazioni dei pentiti mafiosi al processo contro Andreotti e il rapporto conclusivo della Commissione parlamentare d'inchiesta sulla P2 hanno documentato il coinvolgimento di Cosa Nostra, della 'Ndrangheta e della loggia segreta di Licio Gelli. Il piano di Borghese fu il più grave attentato alla democrazia italiana organizzato nel Secondo dopoguerra.

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