Quando Bergoglio passò sotto la scritta Arbeit Macht Frei,IL LAVORO RENDE LIBERI,del campo di sterminio nazista di Auschwitz in Polonia il 29 luglio 2016 DOCUMENTARIO grazie ai patti lateranensi del 1929 di Mussolini

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Il termine Olocausto indica, a partire dalla seconda metà del XX secolo, il genocidio di cui furono responsabili le autorità della Germania nazista E I LORO ALLEATI,dello sterminio di tutte le categorie di persone ritenute dai nazisti "indesiderabili" o "inferiori" per motivi politici o razziali, tra cui gli ebrei. Oltre agli ebrei, furono vittime dell'Olocausto le popolazioni slave delle regioni occupate nell'Europa orientale e nei Balcani, neri europei e, quindi, prigionieri di guerra sovietici, oppositori politici, massoni, minoranze etniche come rom, sinti e jenisch, gruppi religiosi come Testimoni di Geova e pentecostali, omosessuali e persone con disabilità mentali e/o fisiche.

Tra il 1933 e il 1945, furono circa 15-17 milioni le vittime dell'Olocausto, di entrambi i sessi e di tutte le età,TRA CUI 4-6 milioni di ebrei. La parola "Olocausto" deriva dal greco ὁλόκαυστος (holòkaustos, "bruciato interamente"), a sua volta composta da ὅλος (hòlos, "tutto intero") e καίω (kàiō, "brucio"), ed era inizialmente utilizzata ad indicare la più retta forma di sacrificio prevista dal giudaismo. L'Olocausto, in quanto genocidio degli ebrei, è identificato più correttamente con il termine Shoah (in ebraico: שואה‎?, lett. "catastrofe, distruzione"), che ha trovato ragioni storico-politiche nel diffuso antisemitismo secolare.

L'eliminazione di circa i due terzi degli ebrei d'Europa venne organizzata e portata a termine dalla Germania nazista mediante un complesso apparato amministrativo, economico e militare che coinvolse gran parte delle strutture di potere burocratiche del regime, con uno sviluppo progressivo che ebbe inizio nel 1933, con la segregazione degli ebrei tedeschi, e che poi proseguì, estendendosi a tutta l'Europa occupata dal Terzo Reich durante la seconda guerra mondiale, con il concentramento e la deportazione, e quindi culminò dal 1941 con lo sterminio fisico per mezzo di eccidi di massa sul territorio da parte di reparti speciali e, soprattutto, in strutture di annientamento appositamente predisposte (campi di sterminio), in cui attuare quella che i nazisti denominarono soluzione finale della questione ebraica[10]. L'annientamento degli ebrei nei centri di sterminio non trova nella storia altri esempi a cui possa essere paragonato, per le sue dimensioni e per le caratteristiche organizzative e tecniche dispiegate dalla macchina di distruzione nazista
https://it.wikipedia.org/wiki/Olocausto
Il termine olocausto definisce originariamente un tipo di sacrificio della religione greca, ebraica e dei culti dei Cananei[6]. Per estensione, si riferisce anche all'oggetto del sacrificio. Nella Tanakh, יolah è un termine ricorrente[15][16], specialmente in occasione di sacrifici rituali, di animali uccisi e bruciati sull'altare del tempio, tesi a sancire un rinnovo dell'alleanza tra il Dio di Israele e il proprio popolo. In Genesi (22), Dio disse ad Abramo: «Prendi tuo figlio, il tuo unico figlio che ami, Isacco, va' nel territorio di Moria e offrilo in olocausto su un monte che io ti indicherò». Nei culti cananei, tenutisi nello specifico nella valle dell'Hinnom, l'olocausto indica il sacrificio umano al dio Moloch[17].

Nel greco antico (e, successivamente, nel latino come holocaustum) questo termine indicava un tipo di sacrificio religioso in cui il corpo della vittima animale, dopo l'uccisione, veniva completamente bruciato, così che nessuna parte commestibile poteva essere consumata. Questo rito religioso era praticato nelle epoche antica e arcaica sia nel mondo greco sia in quello ebraico, come pure in altre civiltà dell'Asia Minore. Nell'italiano antico compare come termine poetico-letterario, derivato dal latino, con il valore metaforico di "sacrificio estremo", anche in forma aggettivata: ad esempio, nella prosa di D'Annunzio, che definisce "città olocausta" la città di Fiume dopo i bombardamenti. Diffuso in diverse lingue romanze solo come termine aulico, diventa un termine frequente nel linguaggio giornalistico britannico durante la seconda guerra mondiale per descrivere le gravi perdite umane militari e civili. Dal 1943 gli ambienti ebraici di lingua inglese utilizzano il termine per riferirsi allo sterminio degli ebrei in corso nell'Europa continentale.

Uno dei primi utilizzi del termine "olocausto" da parte della stampa generalista si ha nella didascalia di una foto pubblicata il 7 maggio 1945 nelle rivista Life all'interno dell'articolo German atrocities, relativa al rinvenimento dei prigionieri uccisi nel campo di Gardelegen.

Dalla seconda metà del Novecento il termine "olocausto" è entrato nel linguaggio comune per descrivere lo sterminio subito dagli ebrei d'Europa e quindi in modo più vasto per indicare l'insieme delle politiche di genocidio messe in atto dalla Germania nazista di Adolf Hitler, e in seguito, in modo ancor più estensivo, anche per indicare altri fenomeni di massacri o genocidi di massa su larga scala.

A causa del significato religioso del termine, alcuni, ebrei ma non solo, trovano inappropriato l'uso di tale termine[18]: costoro giudicano offensivo paragonare o associare l'uccisione di milioni di ebrei a una "offerta a Dio". Il termine Shoah è stato così adottato più recentemente per descrivere specificamente la tragedia ebraica di quel periodo storico. "Shoah", significa "desolazione, catastrofe, disastro". Questo termine venne usato per la prima volta nel 1940 dalla comunità ebraica in Palestina, in riferimento alla distruzione degli ebrei polacchi[19]. Da allora, definisce nella sua interezza il genocidio della popolazione ebraica d'Europa.

L'Olocausto nazista e altri genocidi

Prigionieri in una delle baracche a Buchenwald. La foto fu realizzata dagli Alleati il 16 aprile 1945[20], ovvero 5 giorni dopo la liberazione del campo. Il settimo da sinistra nella seconda fila di pagliericci è il futuro premio Nobel Elie Wiesel
Nato dunque inizialmente per indicare lo sterminio sistematico di 6 milioni di ebrei da parte dei nazisti (la Shoah del popolo ebreo), il termine "olocausto" è oggi sempre più comunemente utilizzato in ambito internazionale in senso più ampio per descrivere il genocidio sistematico conseguenza delle politiche razziali del nazismo che, oltre agli ebrei, interessò anche altri gruppi etnici, come i popoli rom e sinti (i cosiddetti zingari) o le popolazioni slave dell'Unione Sovietica e della Polonia (considerati nel complesso Untermenschen), nonché altri gruppi di dissidenti, oppositori e minoranze considerate "indesiderabili" o comunque non assimilabili al nuovo ordine mondiale promosso dal nazismo, come disabili, malati di mente, omosessuali, comunisti, massoni, pentecostali, testimoni di Geova, eccetera[21]. Aggiungendo anche questi gruppi, il totale di vittime dell'Olocausto è stimabile tra i 15 e i 17 milioni tra civili e prigionieri di guerra. Per indicare specificatamente lo sterminio degli ebrei si usa il termine Shoah, così come molti Rom usano la parola Porajmos o Porrajmos («grande divoramento»), oppure Samudaripen («tutti morti») per descrivere lo sterminio operato dai nazisti nei loro confronti.

Infine, il termine "olocausto" viene a volte usato per riferirsi anche ad altri casi di genocidio, specialmente quello armeno e quello ellenico, che portarono all'uccisione di 2,5 milioni di cristiani da parte del governo nazionalista ottomano dei Giovani Turchi tra il 1915 e il 1923, o anche il genocidio dei nativi americani, il genocidio cambogiano, il genocidio assiro e il genocidio del Ruanda negli anni '90 del XX secolo. Più in generale, il termine "olocausto" viene a volte usato per indicare un'ingente perdita deliberata di vite umane, come quella che potrebbe risultare per esempio da una guerra atomica, da cui l'espressione "olocausto nucleare".

Descrizione
Meccanismo del genocidio

Una donna anziana e alcuni bambini ad Auschwitz
Lo storico dell'Olocausto Raul Hilberg ha descritto dettagliatamente il meccanismo dello sterminio, evidenziandone il carattere di gigantesco complesso amministrativo gestito in cooperazione attiva ed efficace dai quattro centri di potere della Germania nazista: la burocrazia ministeriale, la Wehrmacht, l'amministrazione economica e l'apparato del Partito nazista. Secondo Hilberg, ognuna di queste quattro strutture burocratiche eseguì compiti fondamentali in tutte le fasi del processo di distruzione. I funzionari civili definirono il concetto legale di "ebreo", organizzarono espropriazione e concentramento, negoziarono con gli Stati esteri, organizzarono il trasporto ferroviario delle vittime, diressero le varie polizie. La Wehrmacht controllava i territori occupati, collaborò al concentramento e all'annientamento in modo attivo, prese parte alle misure di deportazione. L'amministrazione economica ebbe un ruolo centrale nelle espropriazioni, nel lavoro schiavistico e nelle procedure tecniche dei campi di sterminio; infine, il Partito nazista spinse per una continua radicalizzazione e, con l'apparato delle SS, in collegamento con le polizie civili, gestì concretamente le operazioni di annientamento[22].

Hilberg evidenzia inoltre le rispettive caratteristiche amministrative delle quattro strutture burocratiche che concorsero a caratterizzare il processo di distruzione degli ebrei d'Europa: i burocrati ministeriali introdussero nel meccanismo la propria precisione, diligenza e capacità organizzativa; i militari infusero disciplina, meticolosità e imperturbabilità militare; l'apparato economico concorse con l'accurata contabilità, la ricerca dell'economicità e con lo sviluppo delle tecniche "industriali" delle "fabbriche della morte". Il Partito e le SS immisero nella macchina del genocidio la propria carica ideologica, la propria aberrante convinzione millenaristica e la propria impronta di fanatismo[23].

Le eliminazioni di massa erano condotte in modo sistematico: venivano redatte liste dettagliate di vittime presenti, future e potenziali, così come sono state trovate le meticolose registrazioni delle esecuzioni. Oltre a ciò, uno sforzo considerevole fu speso per trovare metodi sempre più efficienti per uccidere persone in massa, passando dalle fucilazioni, all'avvelenamento con monossido di carbonio dei campi di sterminio di Bełżec, Sobibór e Treblinka, all'uso dello Zyklon B di Majdanek e Auschwitz; speciali autocarri con dispositivi di immissione di gas che utilizzavano monossido di carbonio vennero usati nel campo di sterminio di Chełmno.

Adolf Hitler scrisse nel suo testamento finale prima di suicidarsi il 30 aprile 1945 che i "criminali ebrei" avevano "espiato" il loro "errore" in "modo umano"; l'assurdo concetto di "umanità" accoppiato al processo di distruzione di milioni di ebrei d'Europa si riferiva alle procedure adottate, non per alleviare le vittime, ma per rendere più agevoli i compiti degli esecutori. In effetti, vennero dispiegati notevoli sforzi da parte dell'apparato di distruzione per evitare eccessi di brutalità ed esplosioni di violenza incontrollata al fine di alleviare il carico psicologico sul personale addetto allo sterminio. Fungevano anche a questo scopo l'adozione di metodi "scientifici" come gli autocarri e le camere a gas, l'impiego di ausiliari ucraini e baltici per gli incarichi più crudeli, l'utilizzo degli stessi ebrei per le attività più macabre nei campi di sterminio come il prelevamento, il sotterramento e l'incenerimento dei cadaveri[24].

Le malattie
I detenuti venivano uccisi soprattutto dalla denutrizione a causa delle condizioni disumane che erano costretti ad affrontare, ma in gran parte anche da malattie come la scabbia, la scarlattina, il tifo esantematico, la difterite, la dissenteria e altre.

Campi di concentramento e di sterminio

Lo stesso argomento in dettaglio: Lager, Campo di sterminio e Gaswagen.

Il campo di concentramento di Auschwitz
Nella storiografia si è imposta una suddivisione che considera da una parte i campi di concentramento (Konzentrationslager) adibiti a campi di lavoro (Arbeitslager), campi per donne (Frauenlager), campi per giovani (Jugendkonzentrationslager) e campi di transito (Durchgangslager), e dall'altra i campi di sterminio (Vernichtungslager, "campi di distruzione"), il cui scopo principale - se non unico - era quello di sterminare gli internati.

I campi di concentramento per gli "indesiderabili" erano disseminati in tutta l'Europa, con nuovi campi creati vicino ai centri con un'alta densità di popolazione "indesiderata": ebrei, intellighenzia polacca, comunisti e gruppi rom. La maggior parte dei campi di concentramento era situata nei confini del Reich. Anche molti prigionieri dei campi di concentramento - benché questi ultimi non fossero stati costruiti col compito precipuo dello sterminio - morirono a causa delle terribili condizioni di vita o a causa di esperimenti condotti su di loro da parte dei medici dei campi. Alcuni campi, come quello di Auschwitz-Birkenau, combinavano il lavoro schiavistico con lo sterminio sistematico.

La macchina della distruzione raggiunse il suo punto culminante in sei campi di sterminio situati in Polonia su cui convergevano migliaia di trasporti ferroviari provenienti da tutta Europa; furono trasportati e uccisi in questi campi circa 3 milioni di ebrei[11]. Oltre al campo di Auschwitz-Birkenau, attualmente sono considerati campi di sterminio o campi di concentramento e sterminio i campi di Bełżec, Sobibór, Treblinka, Chełmno, Majdanek. Questi centri senza precedenti nella storia dell'umanità erano costituiti da due elementi distinti: il campo propriamente detto e le installazioni per lo sterminio all'interno del campo; i "campi di distruzione" funzionavano con efficienza nel loro compito di uccidere individui; i risultati vennero raggiunti mediante un'accurata pianificazione, con il concorso di numerosi specialisti e con metodi simili a quelli di una moderna fabbrica[25].

Storia dell'Olocausto
Sterminio degli ebrei d'Europa
Antisemitismo, leggi razziali, arianizzazioni

Lo stesso argomento in dettaglio: Politica razziale nella Germania nazista.
Lo storico statunitense di origine ebreo-austriaca Raul Hilberg ha evidenziato gli elementi di continuità presenti nella politica antisemita del regime nazista, riscontrando notevoli congruenze tra le misure antiebraiche di discriminazione e segregazione adottate nell'arco dei secoli dalla Chiesa cattolica (a partire dal IV secolo dopo Cristo) e dal potere secolare fin dal Medioevo e le norme legislative e burocratiche adottate in Germania dal 1933, dopo l'assunzione del potere da parte di Adolf Hitler[26]. Accanto a questi elementi di continuità, Hilberg sottolinea gli aspetti di assoluta novità e di inaudita criminalità anti-ebraica caratterizzanti l'azione del regime nazista durante i suoi dodici anni di potere[27].

Membri delle SA invitano al boicottaggio anti-ebraico del 1º aprile 1933
Lo storico Enzo Collotti ha analizzato i caratteri specifici della diffusione dell'antisemitismo in Europa dopo la prima guerra mondiale: in primo luogo l'autore interpreta il fenomeno dell'accentuarsi dell'ostilità verso gli ebrei in correlazione con i sentimenti di catastrofe di civiltà dopo la guerra mondiale e con la necessità di individuare facili obiettivi su cui far ricadere le responsabilità delle difficoltà esistenziali e materiali del dopoguerra. In secondo luogo l'antisemitismo si caratterizzò anche come reazione alla presunta "cospirazione giudeo-bolscevica" del comunismo sovietico che sembrava minacciare i valori della società tradizionale cristiana. Elemento che permise di cristallizzare i fermenti antisemiti fu la riscoperta e la divulgazione dei fittizi Protocolli dei savi di Sion che sembravano confermare la tesi del "complotto ebraico" contro la civiltà europea[28].

L'antisemitismo di Adolf Hitler venne esposto nel suo libro del 1925, Mein Kampf, che, inizialmente ignorato, divenne popolare in Germania quando Hitler acquistò potere politico. Il 1º aprile 1933, poco dopo l'elezione di Hitler al cancellierato, il fanatico antisemita Julius Streicher, con la partecipazione delle Sturmabteilung e attraverso le colonne della rivista antisemita Der Stürmer da lui diretta, organizzò una giornata di boicottaggio di tutte le attività economiche tedesche gestite da ebrei (l'ultima impresa gestita da ebrei rimasta in Germania venne chiusa il 6 luglio 1939). Nonostante la fredda accoglienza da parte della popolazione tedesca che fece rientrare il boicottaggio dopo solo un giorno, questa politica servì a introdurre una serie di progressivi atti antisemiti che sarebbero poi culminati nella Shoah. Gran parte della storiografia ritiene peraltro che l'obiettivo dello sterminio fisico non fosse fin dall'inizio il fine ultimo della politica antiebraica nazista e che, almeno fino al 1938, si ritenne possibile, mediante crescenti pressioni, forzare l'emigrazione in massa degli ebrei. Tuttavia è indubbio che i dirigenti nazisti non agirono in modo sistematico e coerente in questo senso, non svilupparono adeguate misure politico-diplomatiche e al contrario protestarono con alcuni paesi per l'accoglienza riservata agli ebrei[29].

Il processo di distruzione degli ebrei d'Europa richiese in primo luogo una precisa individuazione dell'obiettivo da colpire; la burocrazia ministeriale tedesca elaborò quindi una serie di disposizioni amministrative per identificare "ariani" e "non ariani" che, pur definite propagandisticamente "leggi razziali" (Rassengesetze), si basavano invece sul criterio della religione praticata e non su presunte caratteristiche biologico-razziali dell'individuo. Il primo decreto fu il cosiddetto Arierparagraph del 7 aprile 1933 che definiva "non ariani" non solo gli ebrei puri (Volljuden, con quattro nonni ebrei) ma anche gli ebrei per tre quarti, per metà e per un quarto[30].

Adolf Hitler durante una cerimonia al raduno di Norimberga del 1934
Le leggi di Norimberga ("legge per la protezione del sangue e dell'onore tedeschi" e "legge sulla cittadinanza del Reich"), promulgate in fretta e dopo una stesura di pochi giorni il 14 settembre 1935, di fatto esclusero le persone definite "ebrei" da ogni aspetto della vita sociale tedesca e furono opera principalmente degli alti funzionari del ministero degli Interni Wilhelm Stuckart e Bernhard Lösener. Questi decreti modificarono i criteri di inclusione, codificando l'esistenza accanto agli "ariani" e agli "ebrei" di una "terza razza", quella dei Mischlinge di secondo e primo grado (con uno o due nonni ebrei ma non di fede ebraica)[31]. Sulla base di queste leggi fondamentali l'apparato politico-amministrativo del Reich sviluppò una lunga serie di nuove disposizioni e decreti che delinearono la cosiddetta "soluzione economica del problema ebraico". Gli ebrei tedeschi vennero quindi estromessi dalla funzione pubblica con il decreto del 7 aprile 1933 che portò al licenziamento dei dipendenti statali, compresi medici, avvocati e militari[32].

Il passaggio successivo della "soluzione economica" furono le cosiddette "arianizzazioni" delle attività ebraiche autonome, dei servizi, dell'industria e del commercio: nell'aprile 1938 il ministero dell'Interno stabilì il concetto giuridico di "impresa ebraica" su cui basare i trasferimenti delle attività ebraiche ai nuovi proprietari tedeschi, ma fin dal 1933 erano in corso le "arianizzazioni volontarie" che prevedevano il trasferimento delle imprese su base teoricamente volontaria. Sottoposti a crescenti pressioni per liquidare o vendere le loro attività economiche gli imprenditori ebrei si rassegnarono, si affrettarono a vendere, in alcuni casi fecero resistenza. Nel 1938 cominciò la fase delle "arianizzazioni coatte" (zwangsarisierung) in cui il proprietario ebreo era costretto a vendere ed era rappresentato da un "mandatario" tedesco. Infine una nuova serie di decreti proibirono agli ebrei l'esercizio di alcuni tipi di servizi, delle professioni mediche, dell'avvocatura, del commercio al dettaglio; il 3 dicembre 1938 i ministri dell'Economia e dell'Interno, Walther Funk e Wilhelm Frick, firmarono un decreto che imponeva agli ebrei di vendere tutte le attività industriali, i valori mobili, terre, foreste e altri beni immobiliari[33]. Hilberg 1999, pp. 36-7, 49.

Violenze ed emigrazione forzata
Le politiche antiebraiche della Germania nazista ebbero una svolta con il pogrom del 9-10 novembre 1938, passato alla storia con il nome di «Notte dei cristalli» (Kristallnacht); organizzato su impulso principale di Joseph Goebbels e dei funzionari del partito nazista, il pogrom provocò numerose vittime ed ingenti danni materiali. In un primo bilancio redatto dalle stesse autorità naziste (una lettera di Reinhard Heydrich a Hermann Göring dell'11 novembre 1938) si parla di almeno 815 negozi distrutti, 171 case incendiate, 191 sinagoghe bruciate, cui si aggiungono 36 ebrei uccisi, 36 gravemente feriti e oltre 20 000 deportati: 10 911 a Dachau (provenienti da Germania meridionale e Austria), 9 828 a Buchenwald (Germania centrale), e più di 6 000 a Sachsenhausen (Germania settentrionale)[34] In realtà, le conseguenze furono molto più serie. In quello che rimane il colpo più grave inferto al patrimonio artistico e culturale ebraico d'Europa, più di 1 400 sinagoghe e case di preghiera ebraiche vennero incendiate, causando danni irreparabili e, nella maggior parte dei casi, la loro totale distruzione.[35] Tra di loro erano alcuni tra i monumenti più importanti ed significativi dell'architettura sinagogale tedesca, come il Leopoldstädter Tempel di Vienna, la Sinagoga maggiore di Francoforte sul Meno, la Sinagoga nuova di Hannover, la Sinagoga nuova di Breslavia, e molte altre. Migliaia di appartamenti e negozi furono distrutti e saccheggiati. Le vittime furono circa 400, oltre ai molti che nei giorni e mesi successivi periranno nei campi di concentramento.[36]

Sinagoga di Monaco distrutta durante la Notte dei cristalli
La violenza incontrollata della Notte dei Cristalli provocò accese polemiche nella dirigenza nazista: Heinrich Himmler, il capo delle SS, riteneva inefficaci queste azioni e accusò Goebbels, principale promotore del pogrom, di "sete di potere"[37]; mentre Hermann Göring mostrò preoccupazioni economiche legate ai danni provocati ai beni materiali e ai risarcimenti delle compagnie assicurative tedesche, e per possibili ripercussioni internazionali. In discussione non erano le politiche antisemitiche, ma le loro modalità di attuazione, perché avvenissero in modo più ordinato e conveniente. Secondo i diari di Goebbels, Hitler, rapidamente informato delle violenze, in un primo momento decise di "far continuare le manifestazioni" perché "per una volta è bene far sentire agli ebrei la furia della gente"[38]; in seguito intervenne e, di fronte alle numerose reazioni negative, assegnò, tramite Martin Bormann, a Göring l'incarico di trovare una soluzione coordinata della "questione ebraica"[39]. Il 12 novembre 1938 si tenne una riunione generale presso il ministero dell'Aviazione con la presenza di oltre cento funzionari; Göring valutò il problema ebraico principalmente dal punto di vista della convenienza economica per la Germania, criticò iniziative incontrollate, propose la confisca dei beni e delle attività ebraiche e annunciò la creazione di una "ammenda di riparazione" per i danni del pogrom da far pagare agli ebrei stessi. Goebbels parlò di misure di discriminazione sociale mentre Reinhard Heydrich propose l'obbligatorietà di un distintivo di riconoscimento (proposta rifiutata da Hitler)[40]. In quello stesso giorno Göring promulgò una serie di ordinanze con l'imposizione della multa e l'esclusione definitiva degli ebrei dall'economia tedesca a partire dal 1º gennaio 1939[41].

Il 24 gennaio 1939 Göring diede l'incarico a Reinhard Heydrich, capo dell'SD, di trovare "una soluzione al problema ebraico, secondo le circostanze del momento"[42]; la scelta della dirigenza del Reich, dopo le misure di esclusione dalla vita economica e sociale, si basava sull'incremento massimo delle politiche di emigrazione forzata fino a rendere la Germania "libera da ebrei". Il comandante della Gestapo, Heinrich Müller, divenne il responsabile dell'Agenzia centrale per emigrazione ebraica di Berlino, mentre un ruolo fondamentale nel programma di emigrazione forzata venne assunto dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann, già distintosi in precedenza per i suoi successi[43]. Eichmann, attivo nella sezione II-112 dell'SD e poi responsabile del "dipartimento giudaico" delle SS (Judenreferat), esperto di questioni ebraiche, aveva partecipato dal 1937 al programma di emigrazione degli ebrei tedeschi in Palestina (attivato fin dal 1933 con l'Haavara Agreement) e poi, nell'ottobre 1938, aveva diretto con successo la sezione emigrazione costituita a Vienna dopo l'Anschluss, che aveva forzato la partenza di 50 000 ebrei austriaci in sei mesi[44].

Reinhard Heydrich, responsabile dal 24 gennaio 1939 del programma di emigrazione forzata degli ebrei
La politica di emigrazione forzata, perseguita dal Terzo Reich fin dal 1933, non ottenne risultati decisivi e si trovò di fronte una serie di difficoltà insormontabili mentre al contrario la popolazione ebrea all'interno dell'area di influenza tedesca, in continua crescita con la politica espansionistica di Hitler, aumentava di numero. Dal 1933 al 1938 erano emigrati circa 150 000 ebrei e nel 1939 l'Ufficio di Eichmann, esercitando forti pressioni, riuscì a far emigrare altre 78 000 persone. Tuttavia, il programma di emigrazione in Palestina, favorito da contatti tra sionisti e agenti tedeschi dell'SD, dovette essere sospeso per i dubbi di Hitler di fronte alla prospettiva della rinascita di una nazione ebraica in Terra santa e per il rifiuto britannico di accogliere altri ebrei a causa delle tensioni con gli arabi. Inoltre, anche altre nazioni, come la Svizzera e la Svezia, ridussero fortemente l'accoglienza; in Polonia, Romania e Ungheria si stavano sviluppando correnti antisemitiche, la Francia rifiutò di accettare altri ebrei tedeschi e anche Stati Uniti e Regno Unito inasprirono le leggi sull'immigrazione[45].

Rimasero attive ancora precarie vie di emigrazione ebraica attraverso Lituania, Unione Sovietica, Shanghai, Giappone (alcuni ebrei si rifugiarono infatti in estremo Oriente) e attraverso Spagna e Portogallo; fino al marzo 1941 altri 13 000 ebrei riuscirono a raggiungere illegalmente la Palestina, attraverso i porti sul Danubio della Romania, mediate accordi tra l'SD e la struttura sionista dell'Aliyah Bet, l'immigrazione illegale organizzata dalle autorità ebraiche in Palestina[46].

Nonostante le crescenti difficoltà, tra il 1933 e il 1939 la popolazione ebrea nel vecchio Reich si ridusse, con l'emigrazione e l'espulsione, da 503 000 a 240 000 persone, mentre anche il numero degli ebrei presenti in Austria (180 000) e in Cecoslovacchia (85 000) diminuì del 50% grazie all'attività dell'ufficio di Eichmann. Quasi la metà dei circa 400 000 profughi ebrei fuggiti dalla Germania o dai territori dominati dai tedeschi si stabilirono nei paesi europei e sarebbero rimasti esposti alla macchina del genocidio attivata dal Terzo Reich negli anni della seconda guerra mondiale[47].

Progetti di deportazione e ghettizzazione

Lo stesso argomento in dettaglio: Ghetti nazisti.

Localizzazione dei principali campi-Lager
L'inizio della seconda guerra mondiale e l'invasione della Polonia provocarono un radicale cambiamento della "questione ebraica" e l'attivazione da parte del Reich di nuove iniziative sempre più dure; nello spazio di poche settimane, la Germania occupò territori in cui vivevano quasi tre milioni di ebrei, già in precedenza soggetti a forti restrizioni ed esposti a fenomeni di antisemitismo da parte delle autorità polacche[48]. Nei territori della Polonia che la Germania annesse direttamente (il cosiddetto Warthegau) erano presenti 603 000 ebrei, mentre nel costituendo Governatorato Generale ne vivevano oltre due milioni[49].

Le prime misure contro questa numerosa popolazione ebraica furono immediate: nel corso dell'operazione Tannenberg sette "gruppi operativi speciali" delle SS (Einsatzgruppen) si incaricarono dell'individuazione e soppressione violenta delle "élite" polacche (potenziali oppositori politici e intellettuali in grado di salvaguardare la cultura polacca) e degli ebrei. In questa fase i polacchi furono particolarmente colpiti e circa 39 000 persone furono uccise sommariamente dai tedeschi, mentre la persecuzione anti-ebraica fu meno sistematica, anche se provocò circa 7 000 vittime[50]. Inoltre, già alla fine di ottobre 1939 ebbe inizio l'espulsione degli ebrei presenti nei territori annessi al Reich e la loro deportazione nel Governatorato Generale; in un documento del 21 settembre 1939 Reinhard Heydrich, il capo dell'SD e responsabile dell'operazione Tannenberg, delineò le direttive generali della politica antiebraica[51].

Bambino ebreo del ghetto di Varsavia caduto a terra
Heydrich distinse tra tempi lunghi e tempi brevi, e tra obiettivi immediati e "meta finale" (Endziel); delineò il programma di deportazione degli ebrei, riservò ai comandi subordinati la definizione delle modalità pratiche di attuazione delle misure; identificò il territorio a est di Cracovia, tra la Vistola e il Bug Occidentale, come una possibile "riserva ebraica" (Judenreservat) in cui evacuare tutti gli ebrei. In una prima fase era però necessario concentrare gli ebrei in pochi centri urbani di raccolta, secondo lo schema del ghetto; anche gli ebrei delle campagne dovevano essere trasferiti in questi centri. Questa concentrazione sarebbe stata utile anche per agevolare in futuro l'esecuzione di ulteriori misure antiebraiche[52]. In questo senso lo stesso Heydrich scrisse il 29 settembre 1939 in modo criptico, in una lettera indirizzata a Kurt Daluege, che "alla fine il problema ebraico" sarebbe stato risolto "in una maniera speciale" (Schließlich, soll das Judenproblem einer besonderen Regelung unterworfen werden)[53].

Elementi caratterizzanti dei ghetti sarebbero divenuti lo straordinario affollamento, la loro "chiusura", decisa quasi subito, secondo la quale le enclave ebraiche sarebbero state totalmente isolate dal punto di vista sociale, territoriale ed economico dal resto della città, la diffusione di fame, malattia e quindi morte, l'istituzione da parte tedesca di "Consigli ebraici" (Jüdische Altestenräte, conosciuti come Judenräte), una mistificazione di tradizionali organi di autogoverno formati dai maggiorenti ebrei della comunità, incaricati di mantenere i rapporti con i tedeschi, di collaborare e di dare pronta esecuzione alle direttive delle autorità del Reich[54].

Costruzione del muro nel ghetto di Varsavia, per isolare completamente l'enclave ebraica dal resto della città
Il primo ghetto ad essere ufficialmente costituito fu quello di Łódź il 10 dicembre 1939; seguirono poi Varsavia (2 ottobre 1940), Cracovia (3 marzo 1941), Lublino (24 marzo 1941), Kielce (marzo 1941), Radom (aprile 1941). La vita degli ebrei in queste aree totalmente isolate e sovraffollate (il ghetto di Varsavia arrivò a contare 400 000 persone, quello di Łódź 200 000), divenne estremamente difficile: la fame e le malattie provocarono tassi di mortalità elevatissimi, si diffuse la microcriminalità, la presenza dei Judenräte e di una polizia ebraica al servizio dei tedeschi divise la comunità e favorì recriminazioni e conflittualità, si moltiplicarono rivalità e scontri. Inoltre, gli ebrei dei ghetti vennero sfruttati nel lavoro coatto al servizio dell'apparato produttivo del Reich[55].

Oltre a organizzare la concentrazione degli ebrei polacchi nei ghetti, Heinrich Himmler, capo delle SS, del RSHA e incaricato dal 7 ottobre 1939 di dirigere anche il RKFDV (Reichskommissar für die Festigung deutschen Volkstums, "commissariato del Reich per la difesa della razza tedesca"), tentò di cominciare una gigantesca operazione di pulizia etnica, germanizzazione e deportazione, studiata per decimare la popolazione polacca, colonizzare le terre con tedeschi etnici e, soprattutto, svuotare la Germania e i territori recentemente annessi dagli ebrei ancora presenti (circa 380 000 persone[47])[56]. L'"Ufficio per l'emigrazione ebraica" diretto dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann studiò i progetti per la deportazione degli ebrei tedeschi, austriaci e del Protettorato di Boemia e Moravia nel Governatorato Generale, già sovraffollato di ebrei nei ghetti[57].

Le deportazioni ebbero inizio nell'ottobre 1939 e alcune migliaia di ebrei provenienti da Vienna, Ostrava e Katowice vennero trasferiti a Nisko, nei pressi di Lublino, ma il progetto andò rapidamente incontro al fallimento; gravi difficoltà di trasporti, la confusione organizzativa e logistica e le vivaci proteste di Hans Frank, responsabile con pieni poteri nel Governatorato, arrestarono molto presto le evacuazioni nella ipotizzata "riserva ebraica". Frank, alle prese con la sua massa di ebrei già presenti e desideroso a sua volta di liberarsi di loro, rifiutò di accoglierne altri e intervenne con Hermann Göring, che, preoccupato soprattutto per i possibili danni economici provocati dai vasti trasferimenti di popolazione previsti, riuscì a bloccare il progetto[58]. L'11 marzo 1940 Himmler fu costretto a interrompere la deportazioni e quindi il piano della "riserva ebraica" tra la Vistola e il Bug in cui concentrare tutti gli ebrei del Reich e dei territori occupati venne abbandonato[59].

Hans Frank, capo plenipotenziario del Governatorato Generale
La vittoria tedesca sul fronte occidentale dell'estate 1940 sembrò aprire prospettive di potere mondiale per il Terzo Reich e in questo contesto emersero nuovi progetti territoriali per risolvere il "problema" degli ebrei d'Europa. Fin dal 27 maggio 1940 Himmler aveva inviato un dettagliato memorandum a Hitler in cui ritornava sui suoi grandiosi progetti di reinsediamento, deportazione e germanizzazione delle terre dell'est e proponeva di evacuare gli ebrei in una non meglio precisata "colonia in Africa o altrove"; il Reichsführer in questo documento riteneva "non da tedeschi" adottare la soluzione "di tipo bolscevico" dello sterminio di massa[60].

Il 3 luglio 1940 il ministero degli Esteri del Reich presentò la sua proposta: il nuovo vice-responsabile agli affari ebraici del ministero, Franz Rademacher (alle dipendenze di Martin Luther), propose in un documento la deportazione di tutti gli ebrei in Madagascar, dove avrebbero vissuto sotto sorveglianza tedesca come garanzia in caso di complicazioni con la comunità ebraica americana[61]. Il "piano Madagascar", che riprendeva vecchie ipotesi di deportazione sull'isola del XIX secolo e degli anni trenta di origine polacca e francese, sembrò realizzabile, in vista della vittoria finale ritenuta imminente sulla Gran Bretagna, e venne divulgato a livello diplomatico[62].

Si discusse di cessione del Madagascar da parte della Francia alla Germania come "mandato" e ci furono colloqui con italiani e rumeni[63]. Adolf Eichmann parlò del trasferimento di quattro milioni di ebrei in un paese non precisato, e anche Hans Frank parlò il 12 luglio 1940 di intera "tribù ebraica" evacuata in Madagascar[64]. Heydrich convenne sulla necessità di una soluzione territoriale e anche Hitler in agosto parlò di completa "evacuazione" del popolo ebraico dopo la guerra[63].

Fu in un documento del 4 dicembre 1940, preparato dal tenente colonnello SS Adolf Eichmann per un discorso di Himmler ai Gauleiter, che comparve per la prima volta l'espressione "soluzione finale della questione ebraica" (Endlösung der Judenfrage); si trattava di un consuntivo sul numero degli ebrei che avevano lasciato a quella data il territorio del Reich e del Protettorato (501 711 persone) e sul numero di quelli ancora rimasti (315 642). Riguardo alla "soluzione finale", Eichmann la identificava sempre nel trasferimento di circa 5,8 milioni di ebrei "al di fuori dello spazio economico europeo, in un territorio ancora da definire"[65].

Gli sviluppi bellici fecero svanire ben presto questi progetti; la crescente resistenza britannica rese del tutto impraticabile un eventuale trasporto via mare in Madagascar e già prima dell'invasione dell'Unione Sovietica il piano era ormai stato abbandonato da Hitler, che disse a Martin Bormann di aver riflettuto su altre idee "non altrettanto gradevoli". Rademacher nell'ottobre 1941 convenne dell'irrealizzabilità del progetto e scrisse che il Führer aveva deciso di deportare gli ebrei "non in Madagascar, ma all'est"[63].

Einsatzgruppen all'est
La fase di pianificazione dell'invasione dell'Unione Sovietica (operazione Barbarossa) fu caratterizzata da una serie di riunioni, direttive e decisioni politico-militari che ebbero conseguenze decisive anche per la popolazione ebraica dell'est. Nei territori sovietici che furono occupati dalla Wehrmacht nei primi mesi dell'invasione risiedevano 10 milioni di ebrei, di cui 2 milioni nei territori polacchi e baltici recentemente annessi dall'URSS; circa 1,5 milioni riuscirono a fuggire abbandonando le proprie case e trasferendosi verso est insieme alle truppe sovietiche in ritirata, ma gli altri, concentrati prevalentemente nelle aree urbane, subirono le micidiali conseguenze dell'arrivo dell'invasore tedesco[66].

Le prime decisioni vennero prese durante due riunioni di Reinhard Heydrich con il generale Eduard Wagner, quartiermastro generale dell'esercito tedesco, e con Hermann Göring il 26 marzo 1941; con Wagner, Heydrich concordò che le SS avrebbero avuto piena autonomia per salvaguardare la sicurezza dietro il fronte combattente nei territori di cui si prevedeva l'occupazione. Nel successivo incontro con Göring invece Heydrich discusse una nuova "soluzione per la questione ebraica"; la proposta verteva sulla deportazione di tutti gli ebrei europei all'est, probabilmente nell'estremo nord sovietico, dove sarebbero stati tenuti sotto sorveglianza[67]. Anche Joseph Goebbels nel suo diario fece riferimento il 20 giugno a una riunione con Hitler e Hans Frank in cui si era parlato di deportare lontano all'est gli ebrei del Governatorato Generale e scrisse di "disintegrazione graduale della popolazione ebrea polacca"[68].

Heinrich Himmler durante una visita al campo di concentramento di Dachau
Dal 12 al 15 giugno Heinrich Himmler riunì nel suo castello in Sassonia a Wewelsburg, oltre a Heydrich, i principali generali delle SS, Kurt Daluege, Erich von dem Bach-Zelewski, Karl Wolff, Rudolf Brandt, Werner Lorenz, Friedrich Jeckeln e Hans-Adolf Prützmann; illustrò ampiamente le visioni di germanizzazione e rivoluzione razziale e i progetti globali del nazismo. Dopo la conquista dell'URSS tutti gli ebrei del continente sarebbero stati in mano tedesca e sarebbero stati eliminati dall'Europa; gli slavi sarebbero stati decimati, parlò di eliminare 20-30 milioni di persone[69].

Dal punto di vista operativo nell'aprile 1941 furono quindi costituiti, sulla base delle esperienze precedenti in Polonia, quattro gruppi operativi mobili delle SS (Einsatzgruppen) incaricati, formalmente alle dipendenze dell'esercito territoriale ma in realtà a disposizione dell'RSHA, di eliminare qualunque opposizione nei territori occupati, di mantenere l'ordine e di sterminare membri del partito comunista, eventuali partigiani ed ebrei[70]. Inoltre una direttiva di Heydrich del 29 giugno stabilì che, oltre a eliminare tutti i funzionari ebrei, fossero incoraggiati pogrom antiebraici (definiti Selbstbereinigung, "autoepurazione") sfruttando i diffusi sentimenti antisemiti presenti nelle popolazioni e nelle minoranze nazionaliste dei Paesi Baltici, della Bielorussia e dell'Ucraina[69].

A partire dal luglio 1941 si scatenò nelle terre dell'est un'ondata di violenze, di massacri e di stermini di massa: in novembre 1941 Himmler poté comunicare a Hitler che erano già stati eliminati, mediante fucilazioni sommarie ed esplosioni di violenza dei nazionalisti locali, 363.211 ebrei, mentre una statistica interna del 1943 calcolò che a opera degli Einsatzgruppen erano stati "trasferiti all'est" (eufemismo per "sterminati") 633 300 ebrei[71]. Fin dal 16 luglio 1941 il Führer aveva parlato delle nuove "possibilità" di eliminare tutti i nemici aperte dalle conquiste all'est e dalla lotta "contro i partigiani". Alla fine di luglio Heinrich Himmler diramò un "ordine esplicito" (ausdrücklicher Befehl) in cui prescriveva ad alcune formazioni SS di uccidere "tutti gli ebrei" (sämtliche Juden), e in una successiva comunicazione al comandante del Einsatzgruppe B parlò di fucilare, se ci fosse stato bisogno (gegenbenefalls), anche donne e bambini che quindi in futuro non avrebbero potuto trasformarsi in vendicatori[72]. Il 15 agosto Himmler si recò personalmente a Minsk e assistette alle esecuzioni di ebrei da parte degli Einsatzgruppen[69].

Otto Ohlendorf, il comandante del Einsatzgruppe D in Ucraina
Particolarmente micidiale risultò l'operato del Einsatzgruppe A guidato da Franz Stahlecker nei Paesi Baltici; i nazionalisti locali di Lituania e Lettonia scatenarono pogrom sanguinosi, la Wehrmacht collaborò senza difficoltà con le SS per il rastrellamento degli ebrei, esecuzioni di massa pubbliche vennero effettuate a Ljepaja, a Daugavpils, a Riga. In ottobre l'arrivo del generale SS Friedrich Jeckeln, organizzatore degli eccidi in Ucraina, incrementò ancora lo sterminio, la regione baltica divenne il primo territorio europeo dichiarato judenfrei ("libero da ebrei"), entro l'inizio del 1942 erano ormai stati uccisi 229 052 ebrei[73]. Anche gli altri Einsatzgruppen si impegnarono a fondo negli eccidi: a metà ottobre lo Einsatzgruppe B di Otto Rasch riferì l'uccisione di 75 000 ebrei, a novembre lo Einsatzgruppe C, guidato da Arthur Nebe, calcolava 45 467 vittime e il 12 dicembre Otto Ohlendorf, comandante del Einsatzgruppe D in azione nel settore meridionale del fronte orientale riferì di 54 696 uccisioni[74]. Massacri di massa ebbero luogo il 29 settembre 1941 a Babi Yar, nei pressi di Kiev, dove furono uccisi dai tedeschi 33 700 ebrei[75], e a Kam"janec'-Podil's'kyj, dove il generale Jeckeln organizzò lo sterminio in agosto di oltre 20 000 ebrei[76].

Nel corso della prima fase dei massacri, gli Einsatzgruppen uccisero circa mille persone al mese: i compiti venivano svolti con precisione burocratica e con un'attenta pianificazione logistica e le tecniche di sterminio erano standardizzate. Le vittime venivano condotte nei pressi di fossati anticarro o crateri di granata o erano costrette a scavare loro stesse delle fosse; quindi, venivano uccise con il fuoco di mitragliatrice o armi leggere. In alcuni reparti era in azione "specialisti nel tiro alla nuca" (Genickschsspezialisten), altri impiegavano il tiro di squadra a distanza, un altro metodo impiegato era il cosiddetto "sistema delle sardine" (Ölsardinenmanier) che prevedeva di far distendere sul fondo del fossato il primo gruppo e poi di sterminarlo con il fuoco incrociato dall'alto, seguito da altri cinque o sei gruppi successivi che venivano fatti distendere sopra i cadaveri. Queste tecniche combinavano la macabra efficacia con la necessità di mantenere impersonali le esecuzioni per conservare il morale e la solidità nervosa degli esecutori dei massacri[77].

Erich Koch, Reichkommissar in Ucraina, promosse l'annientamento degli ebrei nel territorio di sua competenza.
A partire dalla fine dell'anno 1941, ebbe inizio la seconda ondata di massacri nelle terre dell'est: i compiti degli Einsatzgruppen della SD vennero progressivamente affidati all'apparato di repressione organizzato dalla nuova amministrazione dei territori occupati dell'est: entro la metà del 1942, 165 000 uomini (saliti a 300 000 all'inizio del 1943) appartenenti alla Ordnungpolizei (quindici battaglioni suddivisi tra Schutzpolizei nelle città e Gendarmerie nelle campagne), a formazioni di sicurezza dell'esercito (Feldgendarmerie e Geheime Feldpolizei) o per la cosiddetta "lotta contro le bande" (Bandenkampfverbände) e a reparti ausiliari baltici, bielorussi e ucraini reclutati sul posto (organizzati in Schutzmannschaft mobile, Ordnungsdienst e Hilfspolizei stanziali) continuarono l'opera di sterminio degli ebrei ancora presenti nei Reichkommissar e nelle retrovie del fronte[78].

I Reichkommissar Hinrich Lohse (Ostland) e Erich Koch (Ucraina) diedero il massimo impulso allo sterminio nei loro rispettivi territori; oltre alle fucilazioni, si fece ricorso ad autocarri a gas provenienti da Berlino che fornirono un servizio mobile di gassazione. Gli ebrei scampati alla prima ondata di massacri erano in parte rifugiati nelle foreste, isolati o inseriti in gruppi partigiani sovietici, e in parte concentrati in numerosi ghetti nell'Ostland o in Ucraina (i principali a Riga, Kaunas, Vilnius, Minsk, Pinsk). Nel territorio vennero condotte una serie di operazioni anti-partigiane dei Bandenkampfverbände che si conclusero con l'uccisione di gran parte degli ebrei; nei ghetti, nonostante alcuni tentativi di resistenza ebraica di scarso successo (principalmente a Vilnius da parte del FPO - Fareinike Partisaner Organizzazie), le formazioni tedesche e ausiliarie sterminarono brutalmente la popolazione entro il 1943[79]. La "liquidazione" dei ghetti dell'est cominciava con lo scavo delle fosse da parte di lavoratori ebrei; la Ordnungpolizei, le SS e le polizie ausiliarie locali stendevano quindi un cordone intorno al ghetto e passavano all'azione generalmente all'alba o di notte alla luce di proiettori o razzi. Gli esecutori penetravano nel ghetto radunando gli ebrei, incendiando le case e annientando i resistenti con granate e armi leggere; ai punti di raccolta quindi gli ebrei venivano trasporti su autocarri accanto alle fosse comuni dove, dopo essersi spogliati, venivano fucilati cominciando da bambini e neonati[80].

Al momento del ritiro definitivo dei tedeschi (1944) nei vecchi confini del 1941, erano stati uccisi oltre due milioni di ebrei presenti nei territori sovietici occupati
La sorte degli ebrei italiani

Lo stesso argomento in dettaglio: Olocausto in Italia. https://it.wikipedia.org/wiki/Olocausto_in_Italia
L'occupazione tedesca dell'Italia ebbe conseguenze decisive anche per la sorte dei circa 44000 ebrei presenti; Adolf Eichmann e Heinrich Müller previdero di potere estendere rapidamente le misure di deportazione all'est anche a questa comunità ebraica. Nonostante alcune momentanee difficoltà frapposte dal consigliere d'ambasciata Eitel Friedrich Moellhausen, dal generale Rainer Stahel e dal feldmaresciallo Albert Kesselring, il 16 ottobre 1943 il colonnello delle SS Herbert Kappler e il capitano delle SS Dannecker (dell'ufficio di Eichmann) eseguirono il rastrellamento del ghetto di Roma e arrestarono 1.259 persone. La situazione ebbe una svolta nel mese di novembre 1943 quando il governo fascista repubblicano decise di aderire alla campagna antiebraica: il 30 novembre il ministro Guido Buffarini-Guidi ordinò l'internamento in campi di concentramento predisposti di tutti gli ebrei in Italia; la misura, diretta dalle prefetture con la partecipazione di reparti speciali fascisti tra cui la Muti, gli Uffici politici investigativi e il gruppo Koch, rappresentò la premessa organizzativa per la successiva deportazione all'est[160].

L'internamento procedette nei mesi seguenti e subito gli organi di polizia tedeschi, guidati dal tenente colonnello delle SS Bosshammer, richiesero la consegna degli ebrei per la deportazione. Nel corso della primavera 1944 gli organi di polizia e delle SS tedesche presero possesso dei campi di raccolta, tra cui il 15 marzo 1944 il campo centrale di Fossoli; circa 8000 ebrei italiani vennero trasportati ad Auschwitz e Bergen-Belsen dove morirono tutti tranne 820 sopravvissuti[161]. Inoltre dopo la costituzione Operationszone Adriatisches Küstenland, Odilo Globocnik era diventato comandante delle SS e della Polizia nella zona d'operazioni adriatica e aveva attivato, in collaborazione anche con Christian Wirth (che venne ucciso in uno scontro a fuoco dai partigiani jugoslavi nel 1944), un campo di sterminio alla Risiera di San Sabba dove vennero uccisi alcune migliaia di persone tra partigiani, oppositori politici ed ebrei.

Le vittime
Paese Ebrei morti[162]
Albania 591
Austria 65 459
Belgio 28 518
Regno di Bulgaria 11 393
Croazia 32 000
Cecoslovacchia 143 000
Danimarca 116
Francia 76 134
Germania 165 000
Grecia 59 195
Ungheria 502 000
Italia 6 513
Lussemburgo 1 200
Paesi Bassi 102 000
Norvegia 758
Polonia 2 100 000
Romania 220 000
Serbia 10 700
Stati baltici 272 000
Unione Sovietica 2 100 000
Totale 5 896 577

Corpi rinvenuti a Buchenwald

Lo stesso argomento in dettaglio: Vittime dell'Olocausto.
I calcoli delle vittime durante il genocidio degli ebrei d'Europa sono ancora oggi oggetto di dibattito nelle fonti. Adolf Eichmann, principale organizzatore della deportazione per lo sterminio, avrebbe indicato, secondo due deposizioni di membri delle SS al processo di Norimberga, una cifra oscillante tra i cinque e i sei milioni di ebrei uccisi. Durante il processo si stabilì in via ufficiale il numero di 5700000 morti, numero che concorda con i dati del Consiglio Mondiale Ebraico. Lo storico Gerard Reitlinger ha calcolato invece una cifra tra i 4194200 e i 4581200[163]. Raul Hilberg presenta la cifra di 5,1 milioni di vittime, di cui fino a 1 milione ad Auschwitz[164]; Saul Friedländer scrive di 5-6 milioni di vittime ebree, di cui quasi 1,5 milioni avevano meno di quattordici anni[165]. La fase del vero e proprio sterminio ebbe inizio nel 1941, quando vennero uccisi 1,1 milioni di ebrei prevalentemente all'est dagli Einsatzkommandos (una cifra dieci volte più alta di quella del 1940), mentre l'anno con il maggior numero di morti fu il 1942, il periodo dell'operazione Reinhard, con 2,7 milioni di ebrei uccisi. Il numero delle vittime discese invece nel 1943, con 500000 morti, e nel 1944, con 600000 ebrei sterminati, principalmente ad Auschwitz.

Le condizioni di abbrutimento e annichilimento della persona nei campi del genocidio sono state illustrate con grande efficacia da numerosi scrittori e diaristi; tra le opere più significative è Se questo è un uomo, dello scrittore italiano Primo Levi, deportato ad Auschwitz e fortunatamente sopravvissuto alla prigionia nel campo di sterminio, fino alla liberazione a opera dei soldati sovietici.

Lo storico Raul Hilberg ha descritto accuratamente il tipo di reazioni degli ebrei d'Europa di fronte alle misure di discriminazione, persecuzione, deportazione e annientamento perpetrate dal regime nazista; gli ebrei ripeterono il tipo di comportamento che storicamente avevano sempre adottato di fronte alle persecuzioni. Mentre furono quasi totalmente assenti reazioni di resistenza armata, di opposizione violenta e vendetta nei confronti dei persecutori e carnefici, le comunità ebraiche cercarono di attenuare le sofferenze con la sottomissione anticipata, con la collaborazione; tentando di corrompere, organizzando i soccorsi e il salvataggio di persone e beni[167]. Altre reazioni successive furono, in minor misura, la fuga e l'emigrazione, e soprattutto una condizione di paralisi di fronte all'incredibile violenza del nemico e infine la sottomissione. Importante fu anche, nel comportamento delle comunità ebraiche, la convinzione dell'importanza del loro ruolo nella vita sociale ed economica, e quindi la convinzione dell'impossibilità pratica e della scarsa convenienza economica del meccanismo burocratico dello sterminio[168]. Secondo Hilberg, adottando i consueti comportamenti di sopravvivenza basati su "attenuazione" e "sottomissione", le comunità ebraiche d'Europa si trovarono impotenti e paralizzati di fronte alla macchina dell'annientamento e in pratica accelerarono la propria distruzione[169].

Il numero degli ebrei uccisi sarebbe stato ancora maggiore se in alcuni paesi le operazioni di arresto e deportazione non fossero state rallentate dalla resistenza delle popolazioni locali e se oltre la metà dei 3000000 di ebrei che alla fine del 1939 si trovavano entro i confini dell'Unione Sovietica non fosse vissuta (o non si fosse rifugiata) nei territori che sfuggirono all'occupazione nazista avviata nel maggio 1941 con l'Operazione Barbarossa.[170]

I "Giusti tra le nazioni"
Nella pagina tetra dell'Olocausto, brillano le storie di quei non-ebrei che hanno agito in modo eroico a rischio della propria vita per salvare la vita di chi era ingiustamente perseguitato. Oggi sono conosciuti come Giusti tra le nazioni.

https://it.wikipedia.org/wiki/Soluzione_finale_della_questione_ebraica
La soluzione finale della questione ebraica (in lingua tedesca: Endlösung der Judenfrage) fu un'espressione usata dai nazionalsocialisti a partire dalla fine del 1940, dapprima per definire gli spostamenti forzati e le deportazioni ("evacuazioni") della popolazione ebraica che si trovava allora nei territori controllati dalla Wehrmacht, poi, dall'agosto del 1941, per riferirsi allo sterminio sistematico della stessa, che oggi viene comunemente chiamato Olocausto, o Shoah. Questo eufemismo serviva da una parte a mimetizzare il genocidio verso l'esterno, dall'altra era una giustificazione ideologica.

Il segreto e la scoperta dei campi
Il segreto sullo sterminio e le prime diffusioni di notizie
La macchina dello sterminio venne costantemente mantenuta nella massima segretezza; nessuna indicazione veniva fornita sulla destinazione dei lunghi convogli ferroviari che da tutta Europa trasferivano gli ebrei, per tranquillizzare le vittime si diffondevano voci su nuovi insediamenti confortevoli creati appositamente per i deportati, ai reparti tedeschi incaricati dell'annientamento nei campi vennero fornite notizie sul rischio di contagio proveniente da ebrei infetti da malattie epidemiche o sulla minaccia di una loro resistenza armata. Apparentemente l'apparato nazista ritenne anche i suoi esecutori non in grado di sostenere il peso delle loro azioni diretta conseguenza dell'aberrante ideologia[172]. Nel gergo burocratico dell'organizzazione SS preposta allo sterminio si usarono sempre espressioni eufemistiche ed edulcorate per indicare il genocidio, come: Auswanderung (emigrazione), Sonderbehandlung (trattamento speciale), Säuberung (bonifica), Wohnsitzverlegung (trasferimento di residenza), natürliche Verminderung (decremento naturale)[173], Sonderaktionen (azioni speciali), Aussiedlung (reinsediamento), Executivmaßnahme (provvedimenti esecutivi)[174].

Carta dell'Europa occupata con l'indicazione dei campi di concentramento e transito, dei ghetti e dei campi di sterminio con indicazioni delle direzioni di trasporto dei deportati
Naturalmente, tutte le operazioni venivano tenute in segreto, sebbene nello stesso territorio del Reich fossero evidenti i segni dei misteriosi avvenimenti in corso: nelle strade si assisteva alle retate, gli ebrei scomparivano dalle loro case, voci si diffondevano tra la popolazione tedesca. Il 9 ottobre 1942 la Cancelleria del Partito nazista diffuse un documento ufficiale per dare spiegazione degli eventi: si parlava di ebrei "diretti verso est" (nach dem Osten) per essere impiegati nei campi di lavoro; in alcuni casi essi venivano trasferiti "ancora più a est" (weiter nach dem Osten), gli ebrei anziani e i decorati di guerra erano "reinsediati" nel campo di Theresienstadt[175]. Anche i dirigenti delle comunità ebraiche del Reich vennero tenute all'oscuro; nel gennaio 1943 il capo della Gestapo di Vienna, Franz Josef Huber, rassicurò, dopo un colloquio telefonico con Heinrich Müller in persona, il capo della comunità ebraica cittadina, Josef Löwenherz, sulla inconsistenza delle voci di "ebrei gasati e mandati a morire"[176].

Nonostante il segreto che avvolgeva i tragici avvenimenti in corso nelle zone controllate dai nazisti, è però inesatto affermare che di tali fatti non si ebbe conoscenza se non dopo la fine della guerra. Di ciò che accadeva in Polonia, giungevano al governo polacco in esilio a Londra allarmanti rapporti della resistenza interna, soprattutto durante il progressivo svuotamento dei ghetti ebraici (in particolare quello di Varsavia, sgomberato nell'estate 1942). Già nel giugno 1942, il resistente polacco Szmul Zygielbojm, era riuscito far pubblicare a Londra, dal Daily Telegraph, prove e microfilm provenienti dal Campo di sterminio di Chełmno[177].

La fonte svizzera
Nell'agosto 1942 Gerhart Riegner, direttore dell'ufficio in Svizzera del World Jewish Congress, ebbe informazioni a Ginevra, tramite l'addetto stampa Benjamin Sagalowitz: questi era a sua volta in contatto con un uomo d'affari ebreo che aveva ricevuto notizie da Eduard Schulte[178], un uomo d'affari tedesco legato a Fritz Bracht, il Gauleiter dell'Alta Slesia che aveva visitato Auschwitz ed era al corrente degli avvenimenti. Grazie alle informazioni di Schulte, Riegner poté inviare un telegramma da Ginevra a importanti personalità ebraiche americane, in cui scriveva di "allarmanti notizie" provenienti dal quartier generale di Hitler, di "sterminio in un colpo solo" di 3,5-4 milioni di ebrei nei paesi controllati dalla Germania, e che, sulle modalità di esecuzione, si era parlato di "acido prussico"[179]. Il cablogramma contenente queste notizie provenienti dalla Svizzera fu fermato a Washington, ma venne comunque trasmesso dalla sede britannica di Londra del World Jewish Congress a Stephen Wise, il rappresentante del congresso ebraico negli Stati uniti. Tuttavia il sottosegretario di Stato Sumner Welles riuscì a bloccarne la divulgazione pubblica da parte di Wise, in attesa di conferme da fonti indipendenti[178].

In ogni caso, il massacro di 11000 ebrei sterminati in Polonia con l'acido prussico venne reso noto dal giornale clandestino J'accuse (n. 2, ottobre 1942): esso non dovette apparire inverosimile neppure ai governi amici del Terzo Reich[180], se è vero che il capo di gabinetto di Pierre Laval chiese a Robert Kiefe, segretario generale del Concistoro centrale nella Francia di Vichy, maggiori dettagli in merito[181].

Inizialmente, gli Stati Uniti e la Gran Bretagna mostrarono scetticismo di fronte a queste informazioni, ma numerose altre voci e testimonianze di rifugiati nei paesi nemici o neutrali davano ulteriore sostegno al terrificante scenario che andava emergendo. Data la gravità e la consistenza delle informazioni, il ministro degli Esteri del governo polacco, il conte Edward Raczyński, allertò il governo inglese[182], quindi compilò un rapporto ufficiale che il 10 dicembre 1942 fu presentato a tutti i “Governi delle Nazioni Unite” alleate e alle rappresentanze diplomatiche neutrali. Il Rapporto Raczyński[183], parlava espressamente di uccisioni di massa e dell'uso di gas, indicando i campi di sterminio di Belzec, Treblinka, Sobibor, e stimando a circa un milione il numero degli ebrei polacchi uccisi sino a quel momento dall'inizio della guerra (un terzo dei 3130000 ebrei polacchi).

Ad ogni modo, soprattutto dopo l'arrivo a Londra (novembre 1942) dell'emissario della resistenza polacca Jan Karski, che consegnò al ministro polacco Edward Raczyński ulteriori e decisive conferme sullo sterminio[184], i governi alleati dovettero prenderne atto. Lo stesso Sottosegretario di Stato americano, Sumner Welles, dopo l'acquisizione di altre informazioni, disse a Wise che le sue notizie erano confermate totalmente[178]. L'8 dicembre 1942 il presidente Franklin Delano Roosevelt incontrò una delegazione di personalità ebraiche e affermò che «il governo degli Stati Uniti è perfettamente al corrente dei fatti… purtroppo ne abbiamo avuto conferma da numerose fonti»; il 14 dicembre 1942 il ministro degli Esteri britannico Anthony Eden mise a conoscenza il governo degli eventi in corso. Alla fine del 1942 i governi alleati erano quindi sufficientemente informati sugli eventi in corso in Europa e sul destino degli ebrei. Perciò, dopo la pubblicazione del Rapporto Raczyński, avvenuta il 10 dicembre 1942, seguì la Dichiarazione congiunta interalleata del 17 dicembre 1942, nella quale i governi di Stati Uniti, Gran Bretagna e Unione Sovietica condannavano apertamente lo sterminio ebraico[185] e assicuravano che i responsabili sarebbero stati inesorabilmente ricercati, catturati e puniti alla fine della guerra[186]. Per l'Inghilterra la dichiarazione fu in quel giorno letta alla Camera dei Comuni dal Segretario del Foreign Office britannico Anthony Eden[187]. Ulteriori dettagli e conferme emersero anche in seguito nel corso della guerra, ad esempio dopo la fuga da Auschwitz il 7 aprile 1944 di due ebrei slovacchi, Rudolf Vrba e Alfred Wetzler, che riuscirono a raggiungere la Slovacchia il 21 aprile e a fornire un dettagliato resoconto dei fatti in corso nel campo di sterminio. I cosiddetti "protocolli di Auschwitz" vennero presto divulgati, attraverso la Svizzera, dalla stampa americana[188]. Oppure, nel novembre 1944 il giurista e ricercatore polacco Raphael Lemkin nel suo lavoro Axis Rule in Occupied Europe: Laws of Occupation - Analysis of Government - Proposals for Redress riportava le uccisioni di massa naziste fatte contro le popolazioni polacche, russe, indicando fra liquidati nel ghetto e morti in luoghi sconosciuti, dopo deportazioni ferroviarie, la cifra di 1.702.500 uccisi, secondo un dato fornito dallo "Institute of Jewish Affairs of the American Jewish Congress in New York"[189]. Persino in Italia, nel dicembre 1944 Giacomo Debenedetti pubblica nella rivista romana Mercurio "16 ottobre 1943" un testo che descrive la tranquilla vigilia e la successiva giornata del rastrellamento del ghetto ebraico di Roma.
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