Il culto imperiale romano e i culti misterici nell'Impero Romano DOCUMENTARIO in parole povere sono questi culti qui che fanno i massoni ma questo è paganesimo politeista greco-romano-egizio e il culto della dea madre pagano

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Il culto imperiale è una forma di culto dedicata nell'ambito della religione romana all'Imperatore e all'Impero, personificato nella dea Roma.
https://it.wikipedia.org/wiki/Culto_imperiale
Caratteristiche e modalità
Le origini del culto imperiale vanno ricercate nel mondo classico del II secolo a.C., quando nacque il culto della dea Roma, personificazione del dominio imperiale dello Stato romano.

Già nel I secolo a.C. Silla, Pompeo e Cesare cercarono di diffondere il culto della propria persona, in particolare Giulio Cesare cercò di dar vita al culto dell'imperatore, a cui riuscì a dare le basi. Alla sua morte Giulio Cesare venne proclamato divus, equiparato quindi ad un dio, e venne istituito il suo culto.

Quando Ottaviano venne proclamato Augusto, numerose città orientali chiesero di poterlo onorare, ma il culto dell'imperatore vivente era diffuso solo nell'oriente, per cui Augusto diede indicazioni precise: il suo culto doveva essere associato a quello della Dea Roma e poteva essere praticato solo da abitanti dell'oriente. Nonostante ciò spesso il suo culto venne distinto da quello di Roma.

Il culto imperiale, come tutti gli altri culti pagani, ebbe termine con l'editto di Tessalonica di Teodosio I, quando fu sostituito dalla religione cristiana e dalla concezione dell'Imperatore e dell'Impero come garanti dell'ordine divino monoteista.

Il culto di Roma
Lo stesso argomento in dettaglio: Roma (divinità).
Il culto di Roma personificata si diffuse rapidamente nel corso del III secolo a.C. da Smirne ai territori greci, e in breve arrivò nella stessa città di Roma. A Roma veniva reso onore dai generali vittoriosi ed infatti il suo culto aveva caratteri più politici che religiosi. Questo culto risultava importante per diffondere un'immagine sacrale e dunque inviolabile del dominio romano.

Sono documentate anche divinità astratte connesse al culto imperiale, tra cui Victoria, Spes, Aeternitas, Concordia, Providentia, Bonus, Eventus, Libertas e Pax. Tali forze divine rappresentavano i caratteri con i quali la Roma imperiale desiderava presentare se stessa e il proprio potere ai popoli sottomessi.

Il culto dell'Imperatore: il Genio imperiale e la deificazione
Lo stesso argomento in dettaglio: Apoteosi.
Fondamentale nel culto imperiale erano gli atti religiosi rivolti verso l'Imperatore.

Anzitutto vi era il culto del Genio dell'Imperatore: tale forma permetteva infatti di rivolgere l'atto religioso anche al sovrano vivente, senza per questo contravvenire ai principi della religione romana, che al contrario di quanto avveniva in Oriente, non concepiva il concetto di uomo-dio.

Nell'Urbe l'inizio del culto dell'imperatore si ebbe appunto con l'introduzione del genius Augusti,[1] cioè dello spirito di Augusto o, meglio, del suo nume tutelare. Non si trattava dunque di un vero e proprio culto dell'imperatore ancora vivente (che non venne tuttavia vietato là dove sorgeva spontaneamente), essendo tale tradizione estranea ai cittadini romani, ma di un culto rivolta alla sua divinità tutelare. Alla sua morte, però, anche Augusto venne proclamato divus con un atto pubblico del Senato romano (la deificatio), potendo in tal modo divenire direttamente oggetto di attenzioni religiose. All'imperatore divinizzato venivano quindi eretti templi, coi propri collegi sacerdotali, e dedicate festività in corrispondenza del dies natalis.

Lo stesso avvenne per la maggior parte dei successivi imperatori: da una parte il culto del genio dell'imperatore vivente, che era un atto dovuto da tutti i cittadini dell'Impero, dall'altro il culto personale riservato a quei sovrani che venivano riconosciuti come "divini" dopo la morte. Fu proprio l'opposizione al culto imperiale presentata dai Cristiani una delle cause delle persecuzioni cui andò incontro, sin dal I secolo la nuova religione.

Il culto imperiale continuò a fiorire fino al III secolo, con l'imperatore Alessandro Severo, dopodiché questo genere di culto andò lentamente in disuso, proprio per l'affermarsi della religione cristiana. Tuttavia pratiche della divinizzazione imperiale rimasero ancora a lungo in uso, tanto da essere ancora applicate anche nel caso dello stesso Costantino I, come retaggio dell'antica religione. Lo stesso imperatore veniva però parimenti elevato dal nuovo culto cristiano al rango di Isapostolo, cioè di "eguale agli apostoli", con una modalità volta appunto perpetuare la funzione religiosa dell'imperatore.

La dea Roma è una figura della religione romana che, fin dal II secolo a.C., fu la divinità che personificava la città di Roma e, più in generale, lo Stato romano. Sull'origine del termine "Roma" vi è una pluralità di ipotesi[1], tra cui la derivazione dal greco antico ρώμη ossia rome traducibile con "forza"[2] o dall'etrusco Rumon, parola con cui era denominato dagli etruschi il fiume Tevere
https://it.wikipedia.org/wiki/Roma_(divinit%C3%A0)
La dea Roma (a destra) e la personificazione del Campo Marzio (a sinistra) assistono all'apoteosi sulle ali di Aion (il Tempo Eterno) di Antonino Pio e Faustina. Rilievo dalla base della colonna di Antonino Pio, II secolo d.C. Città del Vaticano, Cortile della Pigna
Roma, prigioniera troiana

Questa moneta, coniata sotto Filippo l'Arabo per celebrare il Saeculum Novum, mostra nel rovescio un tempio dedicato alla dea Roma
Stando alla tradizione più antica, Roma era una delle prigioniere di guerra troiane segregate nella nave di Ulisse; quando le navi di Ulisse furono costrette da una tempesta a sbarcare sulle coste del Lazio, Roma e le altre prigioniere, stanche di seguire Ulisse nei suoi viaggi, decisero di incendiare le navi, costringendo Ulisse e i suoi uomini a stanziarsi nel Lazio, più precisamente sul colle Palatino. Qui venne fondata la città di Roma in onore della prigioniera che aveva costretto Ulisse e i suoi uomini a non partire per nuovi lidi, dando vita a una nuova civiltà.

Figlia di Ascanio o di Enea

Statua raffigurante la dea Roma, rappresentata nella fontana di Piazza del Popolo a Roma
Secondo altre versioni, Roma (o più comunemente Rome) sarebbe stata la figlia di Ascanio, e quindi nipote di Enea. In ricordo dei trionfi dei profughi troiani, che riuscirono nel corso delle guerre contro Turno a conquistare la zona dove sarebbe sorta la Città Eterna, Rome fece costruire sul luogo dove sorgerà l'Urbe un tempio in onore di Fides (la Fede).
Per questi motivi alla città venne dato il nome di Roma in onore della fanciulla che aveva fatto edificare il tempio.
Secondo altre versioni, Roma sarebbe stata la moglie di Ascanio oppure la moglie dello stesso Enea e figlia di Telefo e quindi nipote di Eracle.

Secondo la versione ellenizzante, l'eroina Roma avrebbe origini "greche", essendo una dei numerosi figli di Ulisse e della maga Circe e quindi sorella di Telegono, colui che avrebbe ucciso l'uomo dal multiforme ingegno. Secondo altre leggende sarebbe stata figlia di Telemaco e di Circe e sorella del Re Latino.

Prime rappresentazioni
Le prime immagini della dea, su monete romane, risalgono al 269 a.C. La rappresentazione della dea è presente su altre monete romane coniate a Locri nel 204 a.C. Da questo si suppone che i non-romani iniziarono a dare al dominio di Roma attributi divini. Sulle monete la dea era raffigurata come una donna in veste amazzonica, armata di spada, talvolta clipeata o coronata di alloro, con vicino una Vittoria alata o altri simboli.

Durante l'Impero
Durante l'Impero romano fu principalmente una dea provinciale, usata per inculcare agli abitanti delle province la lealtà allo stato romano. Un tempio a Roma fu eretto a Smirne nel 195 a.C. e un culto a lei rivolto era presente ad Efeso, Sardi e Delo.

Il culto era comunque presente a Roma stessa dove Adriano fece costruire un tempio dedicato a Venere ed a Roma sulla via Sacra, accanto all'arco di Tito.
https://it.wikipedia.org/wiki/Genio_(divinit%C3%A0)

Il culto imperiale romano identificava gli imperatori e alcuni membri delle loro famiglie con l'autorità divinamente sanzionata (auctoritas) dello Stato romano. La sua struttura era basata su precedenti romani e greci, e fu formulata durante il primo Principato di Augusto. Si stabilì rapidamente in tutto l'Impero e nelle sue province, con marcate variazioni locali nella sua ricezione ed espressione.

Le riforme di Augusto trasformarono il sistema di governo repubblicano di Roma in una monarchia de facto, formulata nelle pratiche tradizionali romane e nei valori repubblicani. Ci si aspettava che il princeps (imperatore) bilanciasse gli interessi dell'esercito romano, del Senato e del popolo, e mantenesse la pace, la sicurezza e la prosperità in un impero etnicamente diversificato. L'offerta ufficiale di cultus a un imperatore vivente riconosceva il suo ufficio e il suo governo come divinamente approvati e costituzionali: il suo Principato doveva quindi dimostrare pio rispetto per le divinità e i costumi repubblicani tradizionali.

Un imperatore defunto ritenuto degno dell'onore poteva essere votato divinità di stato (divus, plurale divi) dal Senato ed elevato come tale in un atto di apoteosi. La concessione dell'apoteosi serviva al giudizio religioso, politico e morale sui governanti imperiali e permetteva agli imperatori viventi di associarsi a un lignaggio ben considerato di divi imperiali da cui erano esclusi predecessori impopolari o indegni. Questo si rivelò uno strumento utile a Vespasiano nella sua istituzione della dinastia imperiale flavia dopo la morte di Nerone e la guerra civile, e a Settimio nel suo consolidamento della dinastia dei Severi dopo l'assassinio di Commodo.

Il culto imperiale era inseparabile da quello delle divinità ufficiali di Roma, il cui culto era essenziale per la sopravvivenza di Roma e la cui negligenza era quindi tradimento. Il culto tradizionale era al centro della legislazione revivalista imperiale sotto Decio e Diocleziano. Divenne quindi un centro di dibattito teologico e politico durante l'ascesa del cristianesimo sotto Costantino I. L'imperatore Giuliano non riuscì a invertire il declino del sostegno alle pratiche religiose ufficiali di Roma: Teodosio I adottò il cristianesimo come religione di stato di Roma. Gli dei tradizionali di Roma e il culto imperiale furono ufficialmente abbandonati. Tuttavia, molti dei riti, delle pratiche e delle distinzioni di status che caratterizzavano il culto agli imperatori furono perpetuati nella teologia e nella politica dell'Impero cristianizzato
https://en.wikipedia.org/wiki/Roman_imperial_cult
Sol Invictus ("Sole invitto") o, per esteso, Deus Sol Invictus ("Dio Sole invitto") era un appellativo religioso usato per diverse divinità nel tardo Impero romano, quali Helios, El-Gabal, Mitra e Apollo, che finirono per essere assimilate, nel periodo della dinastia dei Severi, all'interno di un monoteismo "solare"

Al contrario del precedente culto agreste di Sol Indiges ("Sole nativo" o "Sole invocato" - l'etimologia e il significato del termine indiges sono dubbie), il titolo Deus Sol Invictus fu formato per analogia con la titolatura imperiale Pius, Felix, Invictus (Devoto, Fortunato, Invitto).
https://it.wikipedia.org/wiki/Sol_Invictus

Per cinque secoli, la Repubblica romana non ha reso culto a nessuna figura storica, o a nessun uomo vivente, sebbene circondata da monarchie divine e semi-divine. I leggendari re di Roma ne erano stati i padroni; con la loro rimozione, i romani repubblicani poterono identificare Romolo, il fondatore della città, con il dio Quirino e mantenere ancora la libertà repubblicana. Allo stesso modo, l'antenato-eroe di Roma Enea era adorato come Giove Indiges. I Romani adoravano diversi dei e semidei che erano stati umani, e conoscevano la teoria che tutti gli dei avevano avuto origine come esseri umani, ma le tradizioni repubblicane (mos maiorum) erano fermamente conservatrici e anti-monarchiche. Gli aristocratici che detenevano quasi tutte le magistrature romane, e quindi occupavano quasi tutto il Senato, non riconoscevano alcun essere umano come loro superiore intrinseco. Nessun cittadino, vivo o morto, era ufficialmente considerato divino, ma gli onori assegnati dallo stato - corone, ghirlande, statue, troni, processioni - erano adatti agli dei e tinti di divinità; infatti, quando agli imperatori fu in seguito dato il culto di stato, fu fatto da un decreto del Senato, formulato come qualsiasi altro onore.

Tra i più alti onori c'era il trionfo. Quando un generale veniva acclamato imperator dalle sue truppe, il Senato sceglieva se assegnargli un trionfo, una parata al Campidoglio in cui il trionfatore mostrava i suoi prigionieri e bottino di guerra in compagnia delle sue truppe; Per legge, tutti erano disarmati. Il trionfatore salì su un carro, portando emblemi divini, in un modo che si suppone fosse ereditato dagli antichi re di Roma, e finì dedicando la sua vittoria a Giove Capitolino. Alcuni studiosi hanno visto il trionfatore come impersonare o addirittura diventare un re o un dio (o entrambi) per quel giorno, ma le circostanze del premio trionfale e dei successivi riti funzionavano anche per limitare il suo status. Qualunque fossero le sue ambizioni personali, la sua vittoria e il suo trionfo servirono allo stesso modo il Senato romano, il popolo e gli dei e furono riconosciuti solo attraverso il loro consenso.

Nella vita privata, tuttavia, la tradizione richiedeva che alcuni esseri umani fossero trattati come più o meno divini; Il culto era dovuto da inferiori familiari ai loro superiori. Ogni capofamiglia incarnava il genio – il principio generativo e lo spirito custode – dei suoi antenati, che altri potevano adorare e con il quale la sua famiglia e i suoi schiavi facevano giuramento; Sua moglie aveva una giunone. Un cliente potrebbe chiamare il suo patrono "Giove sulla terra". I morti, collettivamente e individualmente, erano dei degli inferi o dell'aldilà (Manes). È sopravvissuta una lettera di Cornelia, la madre dei Gracchi, in attesa che quando fosse morta, i suoi figli l'avrebbero venerata come deus parens, una divinità parentale (o nutriente); Tale pietà era attesa da ogni figlio rispettoso.

Un clan di spicco potrebbe rivendicare l'influenza divina e onori quasi divini per il suo leader. Le maschere mortuarie (imagines) furono fatte per tutti i romani importanti e furono esposte negli atri delle loro case; Erano usati per rappresentare la loro presenza spettrale ai funerali di famiglia. La maschera di Scipione l'Africano, padre di Cornelia e vincitore su Annibale, era conservata nel tempio di Giove; il suo epitaffio (di Ennio) diceva che era asceso al cielo.Nei secoli successivi alla sua morte sorse una tradizione secondo cui l'Africano era stato ispirato da sogni profetici ed era egli stesso figlio di Giove.

Ci sono diversi casi di culto non ufficiale diretto a uomini visti come salvatori, militari o politici. Nella Spagna Ulteriore negli anni '70 a.C., i romani lealisti salutarono il proconsole Metello Pio come un salvatore, bruciando incenso "come a un dio" per i suoi sforzi per reprimere la ribellione lusitana guidata dal romano Sertorio, un membro della fazione che si definiva "uomini del popolo" (populares). Questa celebrazione, in Spagna, prevedeva un sontuoso banchetto con prelibatezze locali e importate, e una statua meccanica della Vittoria per incoronare Metello, che indossava (extralegalmente) una toga picta da trionfatore per l'occasione. Questi festeggiamenti erano organizzati dal questore[10] Gaio Urbino, ma non erano atti dello stato. A Metello piaceva tutto questo, ma i suoi contemporanei più anziani e pii (veteres et sanctos) lo ritenevano arrogante e intollerabile. Dopo che i riformatori terrieri Tiberio e Gaio Gracco furono entrambi assassinati dai loro oppositori, i loro sostenitori "caddero" e offrirono sacrifici quotidiani alle statue dei Gracchi "come se stessero visitando i santuari degli dei". [13] Dopo che Gaio Mario sconfisse i Teutoni, i privati cittadini gli offrirono cibo e bevande insieme ai loro dei domestici; fu chiamato il terzo fondatore di Roma dopo Romolo e Camillo. Nell'86 a.C., offerte di incenso e vino furono fatte nei santuari incrociati delle statue del Marius Gratidianus ancora in vita, il nipote del vecchio Marius, che era molto popolare a pieno titolo, in gran parte per le riforme monetarie che alleviarono una crisi economica a Roma durante il suo pretoriato.

Greco

Pendente repoussé di Alessandro Magno, cornuto e diadema come Zeus Ammon; le immagini di Alessandro erano indossate come amuleti magici (romano del 4 ° secolo).
Quando i Romani iniziarono a dominare gran parte del mondo greco, gli alti rappresentanti di Roma ricevettero gli stessi onori divini dei governanti ellenistici. Questo era un metodo ben consolidato per le città-stato greche per dichiarare la loro fedeltà a una potenza esterna; tale culto impegnava la città ad obbedire e rispettare il re mentre obbedivano e rispettavano Apollo o uno qualsiasi degli altri dei.

Le città della Ionia adoravano il generale spartano Lisandro, quando dominava personalmente la Grecia, subito dopo la guerra del Peloponneso; secondo Plutarco, questo fu il primo esempio di culto del sovrano nella storia greca. Ci furono casi simili di culto divino agli umani nello stesso secolo, anche se alcuni governanti, come Agesilao, lo rifiutarono. Clearco, tiranno di Eraclea, si vestì come Zeus e rivendicò la divinità; questo non impedì agli Eracleoti di assassinarlo. Isocrate disse di Filippo II di Macedonia che dopo aver conquistato l'impero persiano, non gli sarebbe stato altro da raggiungere che diventare un dio; la città di Anfipoli, e una società privata ad Atene, lo adoravano anche senza questa conquista; egli stesso pose la sua statua, vestito da dio, come tredicesimo dei dodici dell'Olimpo.

Ma fu il figlio di Filippo, Alessandro Magno, che rese la divinità dei re una pratica standard tra i greci. Gli egiziani lo accettarono come faraone, e quindi divino, dopo che scacciò i persiani dall'Egitto; Altre nazioni lo ricevettero come loro tradizionale sovrano divino o quasi divino quando li acquistò. Nel 324 a.C., mandò a dire alle città greche che avrebbero dovuto fare di lui anche un dio; Lo fecero, con marcata indifferenza,che non impedì loro di ribellarsi quando seppero della sua morte l'anno prossimo.

I suoi immediati successori, i Diadochi, offrirono sacrifici ad Alessandro, e si fecero dei ancor prima di affermare di essere re; essi misero i propri ritratti sulla monetazione, mentre i greci lo avevano sempre riservato a un dio o a un emblema della città. Quando gli Ateniesi si allearono con Demetrio Poliorcete diciotto anni dopo la deificazione di Alessandro, lo ospitarono nel Partenone con Atena e cantarono un inno che lo esaltava come un dio presente che li ascoltava, come gli altri dei non avevano fatto.

Euemero, contemporaneo di Alessandro, scrisse una storia fittizia del mondo, che mostrava Zeus e gli altri dei stabiliti della Grecia come uomini mortali, che si erano fatti dèi allo stesso modo; Sembra che Ennio lo abbia tradotto in latino circa due secoli dopo, al tempo di Scipione l'Africano.

I Tolomei d'Egitto e i Seleucidi rivendicavano la divinità finché duravano; potrebbero essere stati influenzati in questo dalle tradizioni persiane ed egiziane dei re divini - sebbene i Tolomei avessero culti separati nel politeismo egiziano, come faraone e in greco. Non tutte le dinastie greche fecero le stesse affermazioni; i discendenti di Demetrio, che erano re di Macedonia e dominavano la terraferma della Grecia, non rivendicavano la divinità o adoravano Alessandro (cfr culto tolemaico di Alessandro Magno).

Romani tra i Greci
I magistrati romani che conquistarono il mondo greco si inserirono in questa tradizione; i giochi furono istituiti in onore di M. Claudio Marcello, quando conquistò la Sicilia alla fine della seconda guerra punica, come i giochi olimpici lo furono per Zeus; furono mantenuti per un secolo e mezzo fino a quando un altro governatore romano li abolì, per far posto ai propri onori. Quando T. Quinzio Flaminino estese l'influenza romana alla Grecia vera e propria, furono costruiti templi per lui e le città posero il suo ritratto sulla loro monetazione; si definiva divino (isotheos) in un'iscrizione a Delfi, ma non in latino o a Roma. I Greci idearono anche una dea Roma, non adorata a Roma, che era adorata con Flaminino (il loro culto congiunto è attestato nel 195 a.C.); sarebbe diventata un simbolo della romanitas idealizzata nelle province romane successive, e un legame continuo, mentre un Marcello o un Flaminino avrebbero potuto detenere il potere solo per un paio d'anni.

Quando al re Prusia I di Bitinia fu concesso un colloquio dal Senato romano, si prostrò e si rivolse a loro come "Dei Salvatori", che sarebbe stata l'etichetta alla sua corte; Livio fu scioccato dal racconto di Polibio di questo, e insiste sul fatto che non c'è alcuna fonte romana che sia mai accaduto.

Il culto e i templi sembrano essere stati abitualmente offerti dai greci ai loro governatori romani, con varie reazioni. Cicerone rifiutò un tempio proposto dai funzionari della città dell'Asia romana a suo fratello e a se stesso, mentre quest'ultimo era proconsole, per evitare la gelosia degli altri romani; quando Cicerone stesso era governatore della Cilicia, affermò di non aver accettato statue, santuari o carri. Il suo predecessore, Appio Claudio Pulcro, fu così contento, tuttavia, quando i Cilici gli costruirono un tempio che, quando non fu terminato alla fine dell'anno in carica di Claudio, Claudio scrisse a Cicerone per assicurarsi che fosse fatto, e lamentandosi che Cicerone non era abbastanza attivo nella questione.

Forme
I Romani e i Greci davano riverenza religiosa a e per gli esseri umani in modi che non rendevano i destinatari dei; questi resero più facili le prime apoteosi greche. Simili forme intermedie apparvero quando Augusto si avvicinò alla divinità ufficiale.

I greci non consideravano i morti come dei, ma rendevano loro omaggio e davano loro sacrifici, usando rituali diversi da quelli per gli dei dell'Olimpo. I greci chiamavano eroi i morti straordinari – fondatori di città e simili; nella forma più semplice, il culto dell'eroe greco era la sepoltura e i memoriali che ogni rispettabile famiglia greca dava ai propri morti, ma pagati dalla loro città in perpetuo. [22] La maggior parte degli eroi erano figure di antiche leggende, ma alcuni erano storici: gli ateniesi veneravano Armodio e Aristogitone come eroi, come salvatori di Atene dalla tirannia; anche, collettivamente, coloro che caddero nella battaglia di Maratona. Gli statisti generalmente non diventavano eroi, ma Sofocle era l'eroe Dexion ("il Ricevitore") - non come drammaturgo, né come generale, ma perché quando gli Ateniesi presero il culto di Asclepio durante la guerra del Peloponneso, Sofocle ospitò un'immagine di Asclepio fino a quando non fu costruito un santuario. Il condottiero ateniese Hagnon fondò Anfipoli poco prima della guerra del Peloponneso; tredici anni dopo, mentre Hagnon era ancora vivo, il generale spartano Brasidas la liberò dall'impero ateniese e fu ferito a morte nel processo. Gli anfipolitani lo seppellirono come un eroe, dichiarandolo il secondo fondatore della città, e cancellarono gli onori di Hagnon il più possibile.

I greci hanno anche onorato i fondatori di città mentre erano ancora in vita, come Hagnon. Questo potrebbe essere esteso anche agli uomini che hanno fatto cose altrettanto importanti; durante il periodo in cui Dione governava a Siracusa, i siracusani gli tributarono "onori eroici" per aver soppresso i tiranni, e ripeterono questo per Timoleonte; questi potrebbero anche essere descritti come adorazione del suo buon spirito (agathos daimon, agathodaemon; ogni greco aveva un agathodaemon, e l'equivalente greco di un brindisi era offerto al proprio agathodaemon). [23] Timoleonte fu chiamato salvatore; istituì un santuario della Fortuna (Automatia) nella sua casa; E il suo compleanno, la festa del suo daimon, divenne un giorno festivo.

Altri uomini potrebbero rivendicare il favore divino avendo un patrono tra gli dei; quindi Alcibiade potrebbe aver avuto sia Eros che Cibele come patroni; e Clearco di Eraclea affermava di essere "figlio di Zeus". Alessandro rivendicò il patrocinio di Dioniso e di altri dei ed eroi; tenne un banchetto a Bactra che combinò il brindisi al suo agathos daimon e le libagioni a Dioniso, che era presente all'interno di Alessandro (e quindi i celebranti salutarono Alessandro piuttosto che il focolare e l'altare, come avrebbero fatto per un brindisi).

Non era sempre facile distinguere tra onori eroici, venerazione per lo spirito buono di un uomo, adorazione della sua divinità protettrice, adorazione della fortuna di una città da lui fondata e adorazione dell'uomo stesso. Uno potrebbe scivolare in un altro: in Egitto, c'era un culto di Alessandro come dio e come fondatore di Alessandria; Tolomeo I Sotere aveva un culto separato come fondatore di Tolemaide, che presumibilmente adorava il suo daimon e poi gli dava onori eroici, ma durante il regno di suo figlio, i sacerdoti di Alessandro adoravano anche Tolomeo e Berenice come gli dei salvatori (theoi soteres).

Infine, un uomo potrebbe, come Filippo II, assumere alcune prerogative della divinità e non altre. I primi re Attalidi di Pergamo, non erano dei, e sostenevano un culto di Dioniso Categemo, come loro antenato; hanno messo l'immagine di Filetero, il primo principe, sulle monete, piuttosto che sulla propria. Alla fine, come i Seleucidi, acquisirono un sacerdote omonimo e si misero sulla monetazione; Ma non erano ancora chiamati dèi prima della loro morte. Pergamo era solitamente alleato con Roma, e questo potrebbe aver influenzato l'eventuale pratica romana.

Fine della Repubblica
Negli ultimi decenni della Repubblica romana, i suoi leader assunsero regolarmente poteri extra-costituzionali. Il mos majorum aveva richiesto che i magistrati rimanessero in carica collettivamente e per brevi periodi; C'erano due consoli; anche le colonie furono fondate da tavole di tre uomini; [30] Ma questi nuovi leader mantennero il potere da soli, e spesso per anni.

Agli stessi uomini venivano spesso conferiti onori straordinari. I trionfi divennero sempre più splendidi; Mario e Silla, i capi rivali nella prima guerra civile di Roma, fondarono ciascuno delle città, che presero il loro nome; Silla aveva giochi annuali in suo onore, a Roma stessa, che portavano il suo nome; il culto non ufficiale di Mario è sopra. Nella generazione successiva, a Pompeo fu permesso di indossare i suoi ornamenti trionfali ogni volta che andava ai Giochi al Circo. Tali uomini rivendicavano anche un rapporto speciale con gli dei: la patrona di Silla, era Venere Felice, e al culmine del suo potere, aggiunse Felice al proprio nome; il suo avversario Marius credeva di avere un destino e che nessun uomo comune avrebbe potuto ucciderlo. Pompeo reclamò anche il favore personale di Venere e le costruì un tempio. Ma il primo romano a diventare un dio, come parte del mirare alla monarchia, fu Giulio Cesare.

Divus Julius
Cesare poteva rivendicare legami personali con gli dei, sia per discendenza che per ufficio. Apparteneva alla gens Giulia, i cui membri sostenevano di discendere da Enea e da sua madre Venere. Nel suo elogio funebre per sua zia Giulia, Cesare affermò anche indirettamente di discendere da Anco Marcio e dai re di Roma, e quindi da Marte. [32] Inoltre, quando era adolescente, Mario lo aveva chiamato flamen Dialis, il sacerdote speciale di Giove. Silla aveva annullato questo appuntamento; tuttavia, relativamente presto nella sua carriera, Cesare era diventato pontifex maximus, il sommo sacerdote di Roma, che adempiva alla maggior parte dei doveri religiosi degli antichi re. [33] Aveva trascorso i suoi vent'anni nelle monarchie divine del Mediterraneo orientale ed era intimamente familiare con la Bitinia. [34] Cesare fece uso di queste connessioni nella sua ascesa al potere, ma non più di quanto avrebbero fatto i suoi rivali, o più dei suoi altri vantaggi. Quando parlò al funerale di sua zia Giulia nel 69 a.C., Giulio Cesare parlò della sua discendenza dai re romani, e sottintendeva la sua; ma ricordò anche al suo pubblico che era stata la moglie di Marius, e (implicitamente) che era uno dei pochi Mariani sopravvissuti.

Quando, tuttavia, sconfisse i suoi rivali nel 45 a.C. e assunse il pieno controllo personale dello stato romano, affermò di più. Durante la guerra civile romana, dal 49 a.C., era tornato nel Mediterraneo orientale, dove era stato chiamato dio e salvatore, e aveva familiarità con la monarchia tolemaica egiziana di Cleopatra, chiamata Cleopatra Thea a causa del peso che poneva sulla propria divinità. Inoltre, aveva un nuovo Senato da affrontare. La maggior parte dei più risoluti difensori del Senato si erano uniti a Pompeo e, in un modo o nell'altro, non sedevano nel Senato. Cesare li aveva sostituiti con i suoi partigiani, pochi dei quali erano impegnati nei vecchi metodi romani; alcuni di loro non erano nemmeno italiani. Si diceva che Cesare intendesse una rimozione dispotica del potere e della ricchezza da Roma verso est, forse ad Alessandria o Ilio ().

Durante la guerra civile, aveva dichiarato Venere sua dea protettrice: aveva giurato di erigere un tempio per Venere Vincitrice se gli avesse concesso la battaglia di Farsalia, ma lo aveva costruito, nel 46 a.C., a Venere Genitrice, epiteto che combinava i suoi aspetti come sua antenata, la madre del popolo romano, e la dea invocata nel poema filosofico De rerum natura . Il nuovo Senato aveva anche eretto una statua di Cesare, con un'iscrizione che lo dichiarava un semidio, ma la fece cancellare, come non la pretesa che voleva fare. Concessa la stessa estensione dei diritti all'abito trionfale che era stata data a Pompeo, Cesare iniziò a indossare la sua corona trionfale "ovunque e in qualsiasi momento", giustificando questo come copertura per la sua calvizie. Potrebbe anche aver indossato pubblicamente gli stivali rossi e la toga picta ("dipinta", toga viola) di solito riservata a un generale trionfante per il giorno del suo trionfo; un costume associato anche al rex sacrorum (il "re dei sacri riti" sacerdotali dell'epoca monarchica di Roma, in seguito pontifex maximus), i re di Monte Albano e forse la statua di Giove Capitolino.

Denario di C. Cossutius Maridianus, 44 a.C., con la testa di Giulio Cesare sul dritto. La leggenda menziona PARENS PATRIAE
Quando la notizia della sua vittoria finale, nella battaglia di Munda, raggiunse Roma, i Parilia, i giochi commemorativi della fondazione della città, si sarebbero tenuti il giorno successivo; furono ridedicati a Cesare, come se fosse il fondatore. Le statue furono erette alla "Libertà di Cesare", e a Cesare stesso, come "dio invitto". Gli fu accordata una casa a spese pubbliche che fu costruita come un tempio; la sua immagine fu fatta sfilare con quelle degli dei; [38] il suo ritratto fu messo sulle monete (la prima volta che un uomo vivente apparve sulla monetazione romana). All'inizio del 44 a.C., fu chiamato parens patriae (padre della patria); [39] I giuramenti legali furono fatti dal suo Genio; il suo compleanno è stato reso una festa pubblica; il mese in cui Quinctilis fu ribattezzato luglio, in suo onore (come giugno fu chiamato per Giunone). Alla fine un sacerdote speciale, un flamen, fu ordinato per lui; il primo doveva essere Marco Antonio, aiutante di Cesare, poi console. Essere servito da un flamen avrebbe classificato Cesare non solo come divino, ma come uguale a Quirino, Giove e Marte. Nel racconto ostile di Cicerone, gli onori di Cesare vivente a Roma erano già e inequivocabilmente quelli di un dio in piena regola (deus).

Un denario coniato intorno al 18 a.C. Dritto: CAESAR AVGVSTVS; Retro: DIVVS IVLIV(S), con cometa di otto raggi, coda verso l'alto
Il nome di Cesare come divinità vivente – non ancora ratificato dal voto senatoriale – era Divus Julius (o forse Jupiter Julius); Divus, a quel tempo, era una forma leggermente arcaica di Deus, adatta alla poesia, implicando una qualche associazione con i cieli luminosi. Una sua statua fu eretta accanto alle statue degli antichi re di Roma: con questo, sembrava destinato a farsi re di Roma, in stile ellenistico, non appena tornato dalla spedizione in Partia che stava progettando; ma fu tradito e ucciso in Senato il 15 marzo 44 a.C.

Una folla arrabbiata e addolorata si riunì nel Foro Romano per vedere il suo cadavere e ascoltare l'orazione funebre di Marco Antonio. Antonio si appellò alla divinità di Cesare e giurò vendetta sui suoi assassini. Seguì un fervente culto popolare al divus Julius. Fu represso con la forza, ma il Senato presto cedette alle pressioni cesariane e confermò Cesare come un divus dello stato romano. Una cometa interpretata come l'anima di Cesare in cielo fu chiamata "stella giuliana" (sidus Iulium) e nel 42 a.C., con il "pieno consenso del Senato e del popolo di Roma", il giovane erede di Cesare, il suo pronipote Ottaviano, tenne l'apoteosi cerimoniale per il padre adottivo. [45] Nel 40 a.C. Antonio assunse la sua nomina a fiamma del divus Julius. Centri di culto provinciali (caesarea) al divus Julius furono fondati in colonie cesariane come Corinto. [46] La lealtà di Antonio al suo defunto patrono non si estese all'erede di Cesare: ma nell'ultimo atto significativo della lunga guerra civile, il 1º agosto 31 a.C., Ottaviano sconfisse Antonio ad Azio.

Erede di Cesare

Augusto come Giove, con scettro e globo (prima metà del 1 ° secolo dC)[47]
Nel 30-29 a.C., la koina dell'Asia e della Bitinia chiese il permesso di adorare Ottaviano come loro "liberatore" o "salvatore". Questa non era affatto una richiesta nuova, ma poneva Ottaviano in una posizione difficile. Deve soddisfare le aspettative popolariste e tradizionaliste e queste potrebbero essere notoriamente incompatibili. Il sostegno e il culto popolare di Mario Gratidiano si erano conclusi con la sua morte pubblica e spettacolare nell'82 a.C., per mano dei suoi nemici nel Senato; allo stesso modo l'omicidio di Cesare segnava ora una connessione arrogante tra la divinità vivente e la morte. [46] Ottaviano doveva rispettare le aperture dei suoi alleati orientali, riconoscere la natura e l'intento degli onori ellenici e formalizzare la propria preminenza tra i possibili rivali: doveva anche evitare un'identificazione potenzialmente fatale a Roma come aspirante monarchico-deista. Fu deciso che gli onori di culto a lui potevano essere offerti congiuntamente alla dea Roma, nei centri di culto da costruire a Pergamo e Nicomedia. I provinciali che erano anche cittadini romani non dovevano adorare l'imperatore vivente, ma potevano adorare la dea Roma e il divus Julius nei recinti di Efeso e Nicea.

Nel 29 a.C. Ottaviano dedicò il tempio del divus Julius nel luogo della cremazione di Cesare. Non solo aveva doverosamente, legalmente e ufficialmente onorato il suo padre adottivo come un divus dello stato romano. Egli "era venuto all'esistenza" attraverso la stella giuliana ed era quindi il divi filius (figlio della divinità). Ma dove Cesare aveva fallito, Ottaviano aveva avuto successo: aveva restaurato la pax deorum (lett. pace degli dei) e rifondato Roma attraverso "l'augurio d'agosto". Nel 27 a.C. fu votato – e accettato – il titolo elevato di Augusto. [54]

Religione e Imperium sotto Augusto
Augusto sembrava non pretendere nulla per sé, e non innovare nulla: anche il culto al divus Julius aveva un rispettabile antecedente nel culto tradizionale di parentes. [55] La sua posizione unica – e ancora tradizionale – all'interno del Senato come princeps o primus inter pares (primo tra pari) offrì un freno alle ambizioni e alle rivalità che avevano portato alle recenti guerre civili. Come censore e pontefice massimo fu moralmente obbligato a rinnovare il mos maiores per volontà degli dei e del "Senato e popolo di Roma" (Senatus Populusque Romanus). Come tribuno incoraggiò una generosa spesa pubblica, e come princeps del Senato scoraggiò ambiziose stravaganze. Sciolse i resti degli eserciti della guerra civile per formare nuove legioni e una guardia imperiale personale (la Guardia Pretoriana): i patrizi che ancora si aggrappavano alle alte sfere del potere politico, militare e sacerdotale furono gradualmente sostituiti da una vasta riserva di equestri ambiziosi e di talento. Per la prima volta, lo status senatoriale divenne ereditabile.

I cittadini comuni potevano aggirare la complessa burocrazia gerarchica dello Stato e appellarsi direttamente all'imperatore, come se fosse un privato cittadino. Il nome e l'immagine dell'imperatore erano onnipresenti – sulla monetazione di stato e sulle strade, all'interno e sopra i templi degli dei, e in particolare nei tribunali e negli uffici dell'amministrazione civile e militare. I giuramenti sono stati giurati in suo nome, con la sua immagine come testimone. Le sue res gestae ufficiali (successi) includevano la riparazione di 82 templi nel solo 28 a.C., la fondazione o la riparazione di altri 14 a Roma durante la sua vita e la revisione o la fondazione di servizi civici tra cui una nuova strada, forniture idriche, casa del Senato e teatri. [57] Soprattutto, la sua preminenza militare aveva portato una pace duratura e sacra, che gli valse il titolo permanente di imperator e rese il trionfo un privilegio imperiale. [58] Sembra che abbia gestito tutto questo entro un giusto processo attraverso una combinazione di brio personale, minacce allegramente velate e autoironia come "solo un altro senatore".

A Roma bastava che l'ufficio, la munificenza, l'auctoritas e la gens di Augusto fossero identificati con ogni possibile istituzione giuridica, religiosa e sociale della città. Se gli "stranieri" o i privati cittadini desideravano onorarlo come qualcosa di più, questa era la loro prerogativa, con moderazione; il suo riconoscimento della loro lealtà dimostrò la sua responsabilità morale e la sua generosità; Le "sue" entrate imperiali finanziavano templi, anfiteatri, teatri, bagni, festival e governo. Questo principio unitario pose le basi per quello che oggi è noto come "culto imperiale", che si sarebbe espresso in molte forme e accenti diversi in tutto l'impero multiculturale.

Province orientali

Augusto in stile egiziano, sul tempio di Kalabsha nella Nubia egiziana.
Nelle province orientali, i precedenti culturali assicurarono una rapida e geograficamente diffusa diffusione del culto, estendendosi fino all'insediamento militare augusteo nell'odierna Najran. [61] Considerate nel loro insieme, queste province presentano le sintesi più ampie e complesse dell'Impero di culto imperiale e nativo, finanziate attraverso iniziative private e pubbliche e che vanno dagli onori divini dovuti a un mecenate vivente a ciò che Harland (2003) interpreta come riti misterici comunitari finanziati privatamente. [62][63] Le città greche dell'Asia romana gareggiavano per il privilegio di costruire centri di culto imperiali di alto rango (neocorati). Efeso e Sardi, antichi rivali, ne avevano due a testa fino all'inizio del 3 ° secolo dC, quando a Efeso fu concesso un tempio aggiuntivo, all'imperatore regnante Caracalla. Quando morì, la città perse il suo breve, celebrato vantaggio a causa di un tecnicismo religioso. [64]

Le province orientali offrono alcune delle prove materiali più chiare per la domus imperiale e la familia come modelli ufficiali di virtù divina e correttezza morale. Centri come Pergamo, Lesbo e Cipro offrivano onori di culto ad Augusto e all'imperatrice Livia: il calendario cipriota onorava l'intera famiglia augustea dedicando un mese ciascuno (e presumibilmente pratica di culto) ai membri della famiglia imperiale, alle loro divinità ancestrali e ad alcune delle principali divinità del pantheon romano-greco. Le prove monetali collegano Thea Livia con Era e Demetra, e Giulia la Vecchia con Venere Genitrice (Afrodite). Ad Atene, Livia e Giulia condividevano l'onore di culto con Estia (equivalente a Vesta), e il nome di Gaio era legato ad Ares (Marte). Queste connessioni orientali furono fatte durante la vita di Augusto - Livia non fu ufficialmente consacrata a Roma fino a qualche tempo dopo la sua morte. Il culto imperiale orientale aveva una vita propria. [65] Intorno al 280, durante il regno dell'imperatore Probo e poco prima dello scoppio della persecuzione di Diocleziano, parte del Tempio di Luxor fu convertito in una cappella di culto imperiale.

Province occidentali
Le province occidentali sono state solo recentemente "latinizzate" in seguito alle guerre galliche di Cesare e la maggior parte non è caduta nell'ambito culturale greco-romano. Ci furono delle eccezioni: Polibio menziona un passato benefattore della Nuova Cartagine nell'Iberia repubblicana "che si dice abbia ricevuto onori divini". [67] Nel 74 a.C., i cittadini romani in Iberia bruciarono incenso a Metello Pio come "più che mortale" nella speranza della sua vittoria contro Sertorio. [68] Altrimenti, l'Occidente non offriva tradizioni native di divinità monarchica o paralleli politici alla koina greca per assorbire il culto imperiale come agenzia romanizzante. [69] La concilia provinciale occidentale emerse come creazione diretta del culto imperiale, che reclutava tradizioni militari, politiche e religiose locali esistenti per un modello romano. Ciò richiedeva solo la volontà delle élite barbariche di "romanizzare" se stesse e le loro comunità.

Tempio di Augusto e Livia, Vienne (Francia moderna). Originariamente dedicato ad Augusto e Roma. Augusto fu divinizzato alla sua morte nel 14 d.C.: la sua vedova Livia fu divinizzata nel 42 d.C. da Claudio.
I primi culti regionali occidentali conosciuti ad Augusto furono stabiliti con il suo permesso intorno al 19 a.C. nella Spagna nord-occidentale ("celtica") e chiamati arae sestianae dopo il loro fondatore militare, L. Sestius Quirinalis Albinianus. [71] Poco dopo, nel 12 a.C. o nel 10 a.C., il primo centro di culto imperiale provinciale in Occidente fu fondato a Lugdunum da Druso, come punto focale per la sua nuova divisione amministrativa tripartita della Gallia Comata. Lugdunum ha impostato il tipo per il culto occidentale ufficiale come una forma di identità romano-provinciale, parcellizzata nella creazione di centri militari-amministrativi. Questi erano strategicamente situati all'interno delle instabili e "barbare" province occidentali del nuovo Principato e inaugurati da comandanti militari che erano – in tutti tranne un caso – membri della famiglia imperiale.

Il primo sacerdote dell'Ara (altare) nel grande complesso di culto imperiale di Lugdunum fu Caius Julius Vercondaridubnus, un gallico dell'élite provinciale, dotato di cittadinanza romana e legittimato dal suo ufficio sacerdotale a partecipare al governo locale del suo concilium provinciale. Sebbene non portasse allo status di senatorio, e quasi certamente a un ufficio eletto annualmente (a differenza del tradizionale sacerdozio a vita delle flamine romane), il sacerdozio nelle province imperiali offriva quindi un equivalente provinciale al tradizionale cursus honorum romano. [73] Il rifiuto del culto respinse la romanitas, il sacerdozio e la cittadinanza; nel 9 d.C. Segimmundus, sacerdote di culto imperiale di quella che in seguito sarebbe stata conosciuta come Colonia Claudia Ara Agrippinensium (situata nell'odierna Colonia in Germania) gettò o distrusse le sue insegne sacerdotali per unirsi alla ribellione del suo parente Arminio.

Province occidentali dell'Africa romana
Nel primo Principato, un altare con l'iscrizione Marazgu Aug(usto) Sac(rum) ("Dedicato a Marazgu Augusto"), identifica un'antica divinità libica (berbera) locale con il potere supremo di Augusto. Nella provincia senatoria dell'Africa Proconsolare, gli altari al Dii Magifie Augusti attestano (secondo Potter) una divinità che era allo stesso tempo locale e universale, piuttosto che una la cui identità locale era sussunta o assorbita da un divus o divinità imperiale. Due templi sono attestati a Roma e al divus Augustus: uno dedicato sotto Tiberio a Leptis Magna e un altro (giulio-claudio) a Mactar. Un terzo a Cartagine fu dedicato alla Gens Augusta nel primissimo impero
Le filosofie greche ebbero un'influenza significativa nello sviluppo del culto imperiale. I cosmologi stoici vedevano la storia come un ciclo infinito di distruzione e rinnovamento, guidato dalla fortuna (fortuna o fortuna), fatum (destino) e logos (il principio divino universale). Le stesse forze producevano inevitabilmente un sōtēr (salvatore) che trasformava il disordine distruttivo e "innaturale" del caos e della lotta in pax, fortuna e salus (pace, buona fortuna e benessere) ed è quindi identificato con culti solari come Apollo e Sol Invictus. Livio (all'inizio della metà del 1 ° secolo aC), e Lucano (nel 1 ° secolo dC) interpretarono la crisi della tarda Repubblica come una fase distruttiva che portò al rinnovamento religioso e costituzionale da parte di Augusto e al suo ripristino della pace, della buona fortuna e del benessere per il popolo romano. Augusto era una figura messianica che istigò personalmente e razionalmente una "età dell'oro" – la Pax Augusta – e fu patrono, sacerdote e protetto di una serie di divinità solari. L'ordine imperiale non era quindi semplicemente giustificato da appelli al divino; Era rappresentato come un'istituzione innatamente naturale, benevola e divina.

Il culto imperiale tollerò e in seguito incluse forme specifiche di monismo pluralistico. Per gli apologeti del culto imperiale, i monoteisti non avevano motivi razionali per rifiutare, ma l'imposizione del culto era controproducente. Gli ebrei presentarono un caso speciale. Molto prima della guerra civile, l'ebraismo era stato tollerato a Roma da un trattato diplomatico con i governanti greco-giudei. Fu portato alla ribalta e al controllo dopo l'iscrizione della Giudea come regno cliente nel 63 aC. La seguente diaspora ebraica aiutò a disperdere il primo cristianesimo "giudaico". I primi cristiani sembrano essere stati considerati come una sotto-setta del giudaismo e come tali erano sporadicamente tollerati.

Le fonti ebraiche sugli imperatori, il culto politeista e il significato dell'Impero sono piene di difficoltà interpretative. Durante il regno di Caligola, gli ebrei resistettero alla collocazione della statua di Caligola nel loro Tempio e supplicarono che le loro offerte e preghiere a Yahweh in suo favore equivalevano a soddisfare la sua richiesta di adorazione. Secondo Filone, Caligola non fu impressionato perché l'offerta non fu fatta direttamente a lui (se al suo genio o al suo numen non è mai chiaro) ma la statua non fu mai installata. Filone non sfida il culto imperiale in sé: loda gli onori divini dati ad Augusto come "il primo e il più grande e il benefattore comune", ma Caligola svergogna la tradizione imperiale comportandosi "come un egiziano". Tuttavia, Filone è chiaramente filo-romano: una caratteristica importante della prima rivolta ebraica (66 d.C.) fu la fine dei sacrifici ebraici a Roma e all'imperatore e la deturpazione delle immagini imperiali
Il culto imperiale e il cristianesimo
Per i romani pagani un semplice atto di sacrificio, sia agli dei ancestrali sotto Decio che agli dei di stato sotto Diocleziano, rappresentava l'adesione alla tradizione romana e la lealtà all'unità pluralistica dell'Impero. Il rifiuto di aderire al culto era tradimento. I cristiani, tuttavia, identificavano gli "onori ellenistici" come parodie della vera adorazione. Sotto il regno di Nerone o Domiziano, secondo Momigliano, l'autore dell'Apocalisse rappresentava Roma come la "Bestia del mare", le élite giudaico-romane come la "Bestia della terra" e il charagma (timbro ufficiale romano) come segno della Bestia. Alcuni pensatori cristiani hanno percepito la divina provvidenza nei tempi della nascita di Cristo, proprio all'inizio dell'Impero che portava la pace e tracciava la strada alla diffusione dei Vangeli; La distruzione di Gerusalemme e del suo Tempio da parte di Roma fu interpretata come una punizione divina degli ebrei per il loro rifiuto del Cristo. Con l'abbattimento della persecuzione Girolamo poté riconoscere l'Impero come baluardo contro il male, ma insistere sul fatto che gli "onori imperiali" erano contrari all'insegnamento cristiano.

Come pontifex maximus Costantino I favorì la "Chiesa cattolica dei cristiani" contro i donatisti perché:
è contrario alla legge divina... che dovremmo trascurare tali litigi e contese, per cui la Divinità Suprema può forse essere risvegliata non solo contro la razza umana ma anche contro di me, alla cui cura ha affidato con la sua volontà celeste il governo di tutte le cose terrene. Lettera ufficiale di Costantino, datata 314 d.C.

In questo cambiamento di formula imperiale Costantino riconobbe la sua responsabilità verso un regno terreno la cui discordia e conflitto avrebbero potuto suscitare l'ira deorum; riconobbe anche il potere della nuova gerarchia sacerdotale cristiana nel determinare ciò che era di buon auspicio o ortodosso. Sebbene non battezzato, Costantino aveva trionfato sotto il signum del Cristo (probabilmente una qualche forma di Labaro come stendardo legionario adattato o reinterpretato). Potrebbe aver ufficialmente posto fine - o tentato di porre fine - ai sacrifici di sangue al genio degli imperatori viventi, ma la sua iconografia imperiale e il cerimoniale di corte lo elevarono a status sovrumano. Il permesso di Costantino per un nuovo tempio di culto per se stesso e la sua famiglia in Umbria è esistente: il culto "non deve essere inquinato dall'inganno di alcuna superstizione contagiosa". Al primo concilio di Nicea Costantino si unì e rifondò l'impero sotto un capo di stato assoluto per dispensa divina e fu onorato come il primo divus imperiale cristiano. Alla sua morte fu venerato e fu ritenuto asceso al cielo. Filostorgio in seguito criticò i cristiani che offrivano sacrifici alle statue del divus Costantino. I suoi tre figli ridivisero la loro eredità imperiale: Costanzo II era ariano – i suoi fratelli erano niceni.

Il nipote di Costantino, Giuliano, ultimo imperatore non cristiano di Roma, rifiutò la "follia galileiana" della sua educazione per una sintesi di neoplatonismo, ascetismo stoico e culto solare universale e promosse attivamente il pluralismo religioso e culturale. La sua restaurata forma augustea di principato, con se stesso come primus inter pares, terminò con la sua morte nel 363, dopo di che le sue riforme furono invertite o abbandonate. L'imperatore d'Occidente Graziano rifiutò la carica di pontifex maximus e, contro le proteste del Senato, rimosse l'altare di Vittoria (Vittoria) dalla Camera del Senato e iniziò lo scioglimento delle Vestali. Teodosio I riunì brevemente le metà occidentale e orientale dell'Impero, adottò ufficialmente il cristianesimo niceno come religione imperiale e pose fine al sostegno ufficiale a tutti gli altri credi e culti. Si rifiutò di riportare Vittoria alla Camera del Senato, estinse il fuoco sacro di Vesta e lasciò il suo tempio. Anche così, accettò il discorso come una divinità vivente, paragonabile a Ercole e Giove, dal suo Senato prevalentemente pagano.Dopo la sua morte le metà orientale e occidentale dell'Impero seguirono percorsi sempre più divergenti: tuttavia entrambi erano romani ed entrambi avevano imperatori. Il cerimoniale imperiale – in particolare l'adventus imperiale o cerimonia di arrivo, che derivava in gran parte dal trionfo – era incorporato nella cultura romana, nella cerimonia della Chiesa e nei Vangeli stessi.

L'ultimo divus occidentale fu probabilmente Libio Severo, che morì nel 465 d.C. Si sa molto poco di lui. Il suo Imperium non fu riconosciuto dalla sua controparte orientale e potrebbe essere stato un imperatore-fantoccio del generale germanico Ricimero. In Occidente, l'autorità imperiale fu in parte sostituita dalla supremazia spirituale e dall'influenza politica della Chiesa cattolica romana.

Nell'Impero d'Oriente, l'adesione giurata all'ortodossia cristiana divenne un prerequisito dell'adesione imperiale – Anastasio I firmò un documento che attestava la sua obbedienza alla dottrina e alla pratica ortodossa. È l'ultimo imperatore conosciuto ad essere consacrato come divus alla sua morte (518 d.C.). Il titolo sembra essere stato abbandonato a causa della sua scorrettezza spirituale, ma la consacrazione degli imperatori orientali continuò: essi detenevano il potere attraverso l'ordinanza divina e il loro governo era la manifestazione del potere sacro sulla terra. L'adventus e la venerazione dell'immagine imperiale continuarono a fornire analogie per le rappresentazioni devozionali (icone) della gerarchia celeste e dei rituali della Chiesa ortodossa.

Valutazioni storiche
Il culto imperiale romano è talvolta considerato una deviazione dai tradizionali valori repubblicani di Roma, un culto della personalità religiosamente insincero che serviva la propaganda imperiale.Traeva la sua forza e il suo effetto, tuttavia, sia dalle tradizioni religiose profondamente radicate nella cultura romana, come la venerazione del genio di ogni individuo e dei morti ancestrali, sia dalle forme del culto del sovrano ellenistico sviluppate nelle province orientali dell'Impero.

La natura e la funzione del culto imperiale rimangono controverse, non da ultimo perché i suoi storici romani lo impiegarono ugualmente come topos per il valore imperiale e l'arroganza imperiale. È stata interpretata come un'istituzione essenzialmente straniera, greco-orientale, imposta con cautela e con qualche difficoltà a una cultura romana latino-occidentale in cui la deificazione dei governanti era costituzionalmente estranea, se non odiosa. In questa prospettiva, il culto imperiale essenzialmente servile e «non romano» fu instaurato a spese della tradizionale etica romana che aveva sostenuto la Repubblica. Per i cristiani e i laici, l'identificazione degli imperatori mortali con la divinità rappresentava il fallimento spirituale e morale del paganesimo che portò al trionfo del cristianesimo come religione di stato di Roma.

Pochissimi storici moderni ora sostengono questo punto di vista. Alcuni – tra cui Beard et al. – non trovano una categoria distinta di culto imperiale all'interno della vita politico-religiosa dell'Impero: gli stessi Romani non usavano un termine così avvolgente. Il culto degli imperatori vivi o morti era inseparabile dalla religione di stato imperiale, che era inestricabilmente intrecciata con l'identità romana e le cui credenze e pratiche erano fondate all'interno dell'antica comunanza del mos maiorum sociale e domestico di Roma. Le descrizioni del culto agli imperatori come strumento di "propaganda imperiale" o della meno peggiorativa "religione civile" emergono dal pensiero politico moderno e sono di dubbio valore: nella Roma repubblicana, il culto poteva essere dato a divinità di stato, divinità personali, generali trionfali, magnati, benefattori, patroni e paterfamilias ordinari – vivi o morti. Il culto per i mortali non era una pratica aliena: riconosceva il loro potere, il loro status e il loro conferimento di benefici. L'insediamento augusteo si appellava direttamente al mos maiorum repubblicano e sotto il principato, il culto agli imperatori li definiva imperatori.

Con rare eccezioni, la prima istituzione di culto per gli imperatori riuscì a fornire un centro comune di identità per l'Impero. Celebrava il carisma del potere imperiale romano e il significato dell'Impero secondo le interpretazioni locali della romanitas,prima un'agenzia di trasformazione, poi di stabilità. Il culto delle divinità imperiali era associato a comuni cerimonie pubbliche, celebrazioni di straordinario splendore e innumerevoli atti di devozione privata e personale. L'utilità politica di una tale istituzione non implica né insincerità meccanica né mancanza di domande sul suo significato e correttezza: un culto unificante a livello di impero sarebbe necessariamente aperto a una moltitudine di interpretazioni personali, ma il suo significato per i romani ordinari è quasi interamente perso nelle interpretazioni critiche di un piccolo numero di romani e greci filosoficamente istruiti, scettici o antagonisti. se cristiana o ellenica. Il declino della prosperità, della sicurezza e dell'unità dell'Impero fu chiaramente accompagnato dalla perdita di fiducia negli dei tradizionali di Roma e – almeno in Occidente – negli imperatori romani. Per alcuni romani, questo è stato causato dalla negligenza delle pratiche religiose tradizionali. Per altri – ugualmente romani – il crollo dell'impero fu il giudizio di Dio sui cristiani infedeli o eretici e sui pagani incalliti.
La loro religione politeista è nota per aver onorato molte divinità.I sacerdoti della maggior parte delle religioni di stato erano detenuti da membri delle classi d'élite.Roma non offre alcun mito nativo della creazione, e poca mitografia per spiegare il carattere delle sue divinità,
https://en.wikipedia.org/wiki/Religion_in_ancient_Rome
Un culto imperiale è una forma di religione di stato in cui un imperatore o una dinastia di imperatori (o sovrani di un altro titolo) sono adorati come semidei o divinità. "Culto" qui è usato per significare "adorazione", non nel senso peggiorativo moderno. Il culto può essere di personalità nel caso di una figura di Euemero appena sorta, o uno di identità nazionale (ad esempio, il faraone dell'antico Egitto o l'Impero del Giappone) o un'identità sovranazionale nel caso di uno stato multietnico (ad esempio, Cina imperiale, impero romano). Un re divino è un monarca che è tenuto in uno speciale significato religioso dai suoi sudditi, e serve sia come capo di stato che come divinità o capo figura religiosa. Questo sistema di governo combina la teocrazia con una monarchia assoluta.
https://en.wikipedia.org/wiki/Imperial_cult
Antico Egitto
Articolo principale: Faraone
I faraoni dell'antico Egitto erano, nel corso della storia dell'antico Egitto, creduti incarnazioni della divinità Horus; derivato dall'essere figlio di Osiride, la divinità dell'aldilà, e Iside, dea del matrimonio.

La dinastia tolemaica basò la propria legittimità agli occhi dei suoi sudditi greci sulla loro associazione e incorporazione nel culto imperiale di Alessandro Magno.

Cina imperiale
Vedi anche: Figlio del cielo, sovrano cinese e religione in Cina
Nella Cina imperiale, l'imperatore era considerato il Figlio del Cielo. Rampollo e rappresentante del cielo in terra, era il sovrano di tutto sotto il cielo, il portatore del Mandato del Cielo, i suoi comandi considerati editti sacri. Un certo numero di figure leggendarie che hanno preceduto l'era imperiale vera e propria della Cina detengono anche il titolo onorifico di imperatore, come l'Imperatore Giallo e l'Imperatore di Giada.

Antica Roma
Articolo principale: culto imperiale romano

Augusto come Giove, con scettro e globo (prima metà del 1 ° secolo dC). Il culto imperiale dell'antica Roma identificava gli imperatori e alcuni membri delle loro famiglie con l'autorità divinamente sanzionata (auctoritas) dello Stato romano. L'offerta ufficiale di cultus a un imperatore vivente riconosceva il suo ufficio e il suo governo come divinamente approvati e costituzionali: il suo Principato doveva quindi dimostrare un pio rispetto per le divinità e i costumi repubblicani tradizionali.
Anche prima dell'ascesa dei Cesari, ci sono tracce di una "spiritualità regale" nella società romana. Nei primi tempi romani il re era una figura spirituale e patrizia e di rango superiore ai flamines (ordine sacerdotale), mentre più tardi nella storia è rimasta solo un'ombra della condizione primordiale con il rex sacrorum sacrificale legato strettamente agli ordini plebei.

Il re Numitor corrisponde al principio regale-sacro nella storia romana antica. Romolo, il leggendario fondatore di Roma, fu eroizzato in Quirino, il "dio imbattuto", con il quale i successivi Cesari si identificarono e di cui si consideravano incarnazioni.

Varrone parlava del mistero iniziatico e del potere della regalità romana (adytum et initia regis), inaccessibile alla comunità essoterica.

Nel Phyrro di Plutarco, 19.5, l'ambasciatore greco dichiarò in mezzo al Senato romano che si sentiva invece come se fosse in mezzo a "un'intera assemblea di re".

Man mano che l'Impero Romano si sviluppava, il culto imperiale si sviluppò gradualmente in modo più formale e costituì il culto dell'imperatore romano come un dio. Questa pratica iniziò all'inizio dell'Impero sotto Augusto e divenne un elemento di spicco della religione romana.

Il culto si diffuse in tutto l'Impero nel giro di pochi decenni, più fortemente in oriente che in occidente. L'imperatore Diocleziano lo rafforzò ulteriormente quando chiese la proskynesis e adottò l'aggettivo sacrum per tutte le cose relative alla persona imperiale.

La deificazione degli imperatori fu gradualmente abbandonata dopo che l'imperatore Costantino I iniziò a sostenere il cristianesimo. Tuttavia, il concetto della persona imperiale come "sacra" si trasferì, in una forma cristianizzata, nell'impero bizantino.

Giappone antico e imperiale
Articolo principale: Shintoismo di Stato

L'imperatore Hirohito fu l'ultimo imperatore divino del Giappone.
Nell'antico Giappone, era consuetudine per ogni clan rivendicare la discendenza dagli dei (ujigami) e la famiglia reale o clan tendeva a definire il loro antenato come il kami dominante o più importante del tempo. Più tardi nella storia, questa fu considerata pratica comune dalle famiglie nobili, e i membri principali della famiglia, incluso quello della famiglia imperiale, non erano considerati divini. Piuttosto che stabilire la sovranità con il modo di rivendicare la divinità sulla nazione, tuttavia, l'imperatore e la famiglia imperiale costituivano il legame tra i cieli e la terra con la pretesa di discendere dalla dea Amaterasu, occupandosi invece di affari legati agli dei di qualsiasi grande evento politico secolare, con pochi casi sparsi nella storia. Fu solo con il periodo Meiji e la fondazione dell'Impero, che l'imperatore cominciò ad essere venerato insieme a un crescente senso di nazionalismo.

Arahitogami – il concetto di un dio che è un essere umano applicato all'imperatore Shōwa (imperatore Hirohito), fino alla fine della seconda guerra mondiale.
Ningen-sengen – la dichiarazione con cui l'imperatore Shōwa, il giorno di Capodanno del 1946, rifiutò (formalmente) le pretese di divinità, mantenendo i valori tradizionali della famiglia espressi nella religione shintoista.
Antico sud-est asiatico
https://rumble.com/vmn6nt-spiegazione-dei-culti-antichi-politeisti-del-medio-oriente-nelloccidente-mo.html?mref=rljsx&mc=e5yiv
https://en.wikipedia.org/wiki/List_of_Neopagan_movements
https://rumble.com/v1m1e3g-e-i-morti-furono-giudicati-secondo-le-loro-azionisecondo-ci-ch

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