Como condenados a Muerte (Tri-lingue) _2022-07-26_17-35-27

1 year ago
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Trata el Apóstol de dar una lección de humildad a los infatuados corintios, convencido como estaba de que la verdadera causa de los partidos y divisiones entre ellos era su idea de autosuficiencia y estima exagerada de sí mismos, muy en la línea de los criterios de la "sabiduría" humana.
Trata el Apóstol de dar una lección de humildad a los infatuados corintios, convencido como estaba de que la verdadera causa de los partidos y divisiones entre ellos era su idea de autosuficiencia y estima exagerada de sí mismos, muy en la línea de los criterios de la "sabiduría" humana.
Como nueva justificación de que los corintios no deben andar distinguiendo entre unos predicadores y otros, añade el Apóstol, en forma verbal de segunda persona indeterminada, que nada tenemos unos que nos haga superiores a los otros, y si algo tenemos, sea en el orden de la naturaleza, sea en el de la gracia, eso no es producción nuestra, sino don de Dios (v.7). Sigue luego (v.8-13), en amarga mezcla de ironías y de realidades, el duro contraste entre lo que piensan de sí mismos los corintios y lo que piensan los apóstoles: vosotros os consideráis ya "llenos., ricos., logrado el reino." 156; pues bien, parece que deberíais hacer partícipes de tanta felicidad a vuestros maestros en la fe, y, sin embargo, la realidad es muy otra, pues nosotros, como los condenados a muerte en el anfiteatro, estamos en la actualidad sirviendo de espectáculo al mundo, que nos tiene por necios y despreciables, haciéndonos sufrir continuas afrentas y persecuciones, cual si fuéramos el "desecho del mundo, el estropajo de todos." 157 Así se expresa el Apóstol. Desde luego, es impresionante este recuento de penalidades del ministerio apostólico, muy parecido al que hace también en otros lugares (cf. 2 Cor 4:8-11; 6:3-10). Pero la realidad es ésa; y es que, al contrario de lo que parecían suponer los corintios, el cristiano sólo tiene en esperanza la plena participación de los bienes mesiánicos (cf. Rom 8:18; 2 Tim 2:12; Jn 16:20). Tal es la verdadera "sabiduría" cristiana centrada en el misterio de la cruz 158.
L'Apostolo cerca di dare una lezione di umiltà agli infatuati Corinzi, convinti com'era che la vera causa delle parti e delle divisioni tra loro era la loro idea di autosufficienza e di stima esagerata di se stessi, molto in linea con i criteri della "sapienza" umana.
Prima di tutto, mette davanti a loro tutto ciò che, concretizzato in Paolo e Apollo, ha detto sulla natura del ministero apostolico (cfr 3,5-4,5) e che devono prendere in considerazione, con il quale impareranno a non andare in giro distinguendo tra predicatore e predicatore, innalzando alcuni e abbassando altri, poiché sono semplicemente ministri o cooperatori di Dio, il cui unico obbligo è quello di essere fedeli alla missione loro affidata (v.6). Il "non andare oltre ciò che è scritto" sembra essere un'espressione proverbiale per indicare che nelle nostre valutazioni non dobbiamo andare oltre la norma oggettiva e, in questo caso, ciò che la natura del ministero apostolico richiede. Alcuni autori, tuttavia, credono che questa sia una citazione biblica, o alludendo a tutta la Scrittura in generale, o a uno qualsiasi dei testi sopra citati (cfr 1,19.31; 3,19). Pensiamo che la prima spiegazione sia più probabile.
Come nuova giustificazione che i Corinzi non dovrebbero andare in giro a distinguere tra alcuni predicatori e altri, l'Apostolo aggiunge, nella forma verbale di una seconda persona indeterminata, che non abbiamo nulla che ci renda superiori agli altri, e se abbiamo qualcosa, sia nell'ordine della natura, sia in quello della grazia, che non è una nostra produzione, ma dono di Dio (v.7). Poi (v.8-13), in un amaro miscuglio di ironie e realtà, il netto contrasto tra ciò che i Corinzi pensano di se stessi e ciò che pensano gli apostoli: voi vi considerate già "pieni, ricchi, conquistati il regno". 156; beh, sembra che dovresti condividere tanta felicità con i tuoi maestri nella fede, eppure la realtà è molto diversa, perché noi, come i dannati, a morte nell'anfiteatro, stiamo attualmente servendo come spettacolo per il mondo, che ci considera sciocchi e spregevoli, facendoci soffrire continui affronti e persecuzioni, come se fossimo lo "spreco del mondo, il flagellatore di tutti". 157 Così si esprime l'Apostolo. Certo, questo racconto delle difficoltà del ministero apostolico è impressionante, proprio come quello che fa anche in altri luoghi (cfr 2 Cor 4,8-11; 6,3-10). Ma questa è la realtà; contrariamente a quanto sembravano supporre i Corinzi, il cristiano ha solo speranza per la piena quota di beni messianici (cfr Rm 8,18; 2 Tm 2,12; Gv 16,20). Tale è la vera "sapienza" cristiana centrata sul mistero della croce 158.

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