SCALA (IM)MOBILE

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Trasmissione del 8 giugno 2022

“Ci siamo resi conto che un sistema economico non sopporta variabili indipendenti. I capitalisti sostengono che il profitto è una variabile indipendente. I lavoratori e il loro sindacato, quasi per ritorsione, hanno sostenuto in questi anni che il salario è una variabile indipendente. In parole semplici: si stabiliva un certo livello salariale e un certo livello dell’occupazione e poi si chiedeva che le altre grandezze economiche fossero fissate in modo da rendere possibile quei livelli di salario e d’occupazione. Ebbene, dobbiamo essere intellettualmente onesti: è stata una sciocchezza, perché in un’economia aperta le variabili sono tutte dipendenti una dall’altra”.

Era il 1978 quando il segretario della Cgil, Luciano Lama, rinnegò la teoria del “salario variabile indipendente”, fino a quel momento sostenuta con forza dal sindacato: su quella tesi si era fondata un’intera decennale stagione di rivendicazioni sindacali – quella della “conflittualità permanente” – rispetto alla quale la cosiddetta svolta dell’Eur intendeva voltar pagina.
L'affermazione di Lama ottenne una vera e propria ovazione da parte di tutti: politici, economisti, imprenditori, perfino la maggioranza dei lavoratori, dipendenti e non. La parola d’ordine diventò: “mobilità effettiva della manodopera e fine del sistema del lavoro assistito in permanenza”.

Nel frattempo, "secondo la Banca Mondiale, il Prodotto Interno Lordo pro-capite è cresciuto in Italia del 52 percento nel periodo 1990-2020. La Germania ha fatto meglio, un bel più 105 percento; anche la Francia, più 77 percento. Ovunque, tuttavia, i salari sono cresciuti a un tasso assai minore del Pil."
In Italia in particolare - caso unico in Europa - sono calati nei 30 anni che vanno dal 1990 al 2020.
Per l'esattezza le retribuzioni annuali medie hanno registrato una contrazione del 2,9%, percentuale che peraltro non tiene conto degli effetti della pandemia e della crisi geopolitica in corso. Il dato (calcolato dall'Ocse) viene misurato in dollari americani a prezzi costanti.
Nei paesi baltici (Estonia, Lettonia e Lituania) il salario medio annuale è più che triplicato negli ultimi 25 anni, mentre in alcuni paesi dell’Europa centrale (Ungheria, Slovacchia) è raddoppiato.
Tutti gli altri paesi dell'Eurozona infatti hanno registrato una dinamica positiva dei salari, a partire dalla Grecia che, tra il 1990 e il 2020, ha messo a segno un +30,5%, mentre la Spagna è cresciuta del 6,2%.

Al Parlamento Europeo giace la proposta di direttiva della Commissione europea sul salario minimo risalente al 28 ottobre 2020, ma il salario minimo a quanto pare non sarà previsto dal Patto della ripresa del governo guidato da Mario Draghi, nonostante spinga per la sua introduzione l'asse tra Pd, Movimento cinque stelle e Liberi e Uguali.
L'Italia potrebbe essere costretta comunque a introdurlo in futuro se venisse approvata la direttiva che, se ottenesse il via libera delle istituzioni comunitarie, riguarderebbe circa due milioni di lavoratori del nostro Paese.
Qualora la proposta di Strasburgo fosse approvata, ogni governo dovrebbe assicurare un reddito minimo pari al 60 per cento del salario mediano, cioè 1261 euro al mese da noi o quasi sette euro l'ora.
Il salario minimo esiste già in 22 Stati membri dell’Ue. Secondo i dati Eurofound, l’agenzia europea per il miglioramento delle politiche sociali e occupazionali, il più alto è in Lussemburgo con 1.998,59 euro al mese, seguito da Irlanda (1.614 euro), Olanda (1.578 euro), Belgio (1.562,6 euro) e Francia (1.498,5 euro) mentre in fondo alla classifica troviamo Romania (407,3 euro), Lituania (400 euro) e Bulgaria (260,8 euro). Come in Italia anche in Austria, Danimarca, Finlandia e Svezia non esiste uno stipendio minimo stabilito per legge perché i salari vengono stabiliti dai contratti collettivi.
Il presidente dell’Inps Pasquale Tridico intervenendo lo scorso weekend a ‘Futura’, la tre giorni organizzata dalla Cgil a Bologna, ha affermato che “oggi sono oltre 2 milioni i lavoratori che lavorano a 6 euro all’ora lordi”, e quindi tutti loro sarebbero interessati dall'eventuale provvedimento comunitario.

Il salario minimo potrebbe essere la soluzione alla stagnazione dei salari in Italia? Oppure si rivelerà un ennesimo espediente cosmetico che non risolverà i problemi strutturali del Paese, un Paese in cui si offrono salari bassi - in questo modo disincentivando lo stimolo alla produttività dei lavoratori - per poi lamentarsi del calo della produttività?

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